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schede perforate


Quando l’evoluzione tecnologica
diventa anche una questione esistenziale

Ricordo ancora il suono. Quel caratteristico click-clack delle perforatrici che bucavano metodicamente i rettangoli di cartoncino color crema. Era la fine degli anni ’70, e io ero immerso fino al collo in quella che oggi chiameremmo “preistoria informatica”. Un mondo fatto di schede perforate, codice Hollerith e attese interminabili. Un mondo che oggi sembra appartenere a un’epoca geologica diversa, eppure mi ha formato come nessun altro ambiente avrebbe potuto fare. πŸ•°οΈ


L’epoca della pazienza forzata

Programmare con le schede perforate non era semplicemente un’attivitΓ  tecnica: era un esercizio spirituale. Un percorso di autodisciplina che ti costringeva a una concentrazione assoluta. Ogni scheda rappresentava un’istruzione, ogni perforazione era una lettera o un comando nel linguaggio della macchina. E avevamo solo due tentativi al giorno per verificare la correttezza del software. Due! Pensateci.

Mi Γ¨ capitato piΓΉ di una volta di vivere l’incubo di ogni programmatore dell’epoca: far cadere il pacco di schede tenuto insieme da un elastico (immancabilmente destinato a rompersi). Ricordo ancora la sensazione di vuoto allo stomaco mentre vedevo centinaia di schede sparpagliarsi sul pavimento come foglie d’autunno. Seguivano ore – letteralmente ore – dedicate a rimettere tutto in ordine, un lavoro certosino che richiedeva la pazienza di un monaco benedettino.

La profonditΓ  dell’apprendimento analogico

C’era qualcosa di profondamente formativo in questa esperienza. La programmazione a schede perforate ti dava una consapevolezza tangibile del funzionamento del computer. Ogni istruzione aveva un peso fisico, ogni algoritmo era una pila di cartoncini che potevi toccare. Questa materialitΓ  creava un legame particolare con la macchina, una comprensione “a basso livello” che difficilmente si puΓ² ottenere oggi.

La limitazione tecnica – quei soli due tentativi quotidiani – ci imponeva una disciplina ferrea:

  • Dovevi pensare profondamente prima di creare ogni singola scheda
  • Eri costretto a tracciare mentalmente l’esecuzione del codice
  • Imparavi a valorizzare l’efficienza come necessitΓ  esistenziale, non solo tecnica
  • L’errore aveva un peso reale, sia in termini di tempo che di fatica fisica

Questa esperienza quasi “esistenziale” forgiava programmatori con una capacitΓ  analitica straordinaria. Non c’era spazio per la programmazione approssimativa o per tentativi casuali. Ogni riga di codice doveva essere ponderata, meditata, quasi contemplata.

schede perforate
schede perforate

Il salto quantico: l’abisso dell’intelligenza artificiale

Salto in avanti di quarant’anni. Mi trovo oggi davanti al mio computer, dove un assistente basato su intelligenza artificiale puΓ² generare centinaia di righe di codice funzionante in pochi secondi. Non due tentativi al giorno, ma due tentativi al secondo. Non mesi di sviluppo, ma minuti. La trasformazione Γ¨ vertiginosa, quasi inconcepibile per chi ha vissuto l’era delle schede perforate.

Questa rivoluzione porta con sΓ© un paradosso inquietante. Da un lato, abbiamo conquistato una libertΓ  creativa senza precedenti. Dall’altro, stiamo scivolando verso un ruolo sempre piΓΉ distante dall’essenza del coding. Da artigiani siamo diventati supervisori, da creatori siamo diventati gestori di processi automatici.

Osservo i giovani programmatori di oggi che utilizzano strumenti di completamento automatico e generatori di codice AI, e mi chiedo se stiano perdendo quella connessione profonda con la macchina che abbiamo sperimentato noi. Quando deleghi il processo creativo a un algoritmo, qualcosa di prezioso viene sacrificato sull’altare dell’efficienza.

Il bilancio: cosa abbiamo guadagnato e cosa abbiamo perso

Se dovessi tracciare un bilancio di questo viaggio tecnologico, ecco cosa direi:

Abbiamo guadagnato:

  • Una velocitΓ  di sviluppo impensabile per i nostri standard degli anni ’70
  • La democratizzazione della programmazione, ora accessibile a molti piΓΉ individui
  • La possibilitΓ  di affrontare problemi di scala che sarebbero stati irrisolvibili
  • Strumenti di debugging e testing che rendono il processo di sviluppo piΓΉ sicuro

Abbiamo perso:

  • La profonditΓ  della comprensione che deriva dal tracciare ogni passaggio
  • La pazienza metodica che si acquisisce quando ogni errore costa ore di lavoro
  • Il legame artigianale con il codice, ora sempre piΓΉ mediato da astrazione
  • La soddisfazione esistenziale di vedere un programma funzionare dopo settimane di lavoro meticoloso

L’umanesimo nell’era digitale: ritrovare l’equilibrio

Come umanista digitale, credo fortemente che il progresso tecnologico debba servire l’essere umano nella sua completezza, non solo nella sua dimensione produttiva. Quello che sto osservando oggi Γ¨ un rischio di alienazione dal processo creativo, una separazione tra il programmatore e il suo codice che porta con sΓ© conseguenze piΓΉ profonde di quanto possiamo immaginare.

La sfida che abbiamo davanti Γ¨ quella di integrare l’incredibile efficienza delle nuove tecnologie senza perdere quella profonditΓ  esistenziale che caratterizzava il lavoro di programmazione “a mano”. Forse la soluzione sta nel mantendere una “coscienza del basso livello” anche quando lavoriamo con strumenti ad alta astrazione.

Propongo questo: rallentatevi deliberatamente, almeno qualche volta. Provate a scrivere qualche algoritmo senza l’aiuto di completamenti automatici o AI. Cercate di comprendere ogni riga di codice che inserite nelle vostre applicazioni. Mantenete viva quella scintilla di artigianato digitale che rischia di spegnersi nella corsa all’automazione.

Non si tratta di nostalgia, ma di preservare un patrimonio cognitivo ed esistenziale che arricchisce il lavoro del programmatore. PerchΓ© la vera magia non sta nella velocitΓ  con cui generiamo codice, ma nella profonditΓ  con cui lo comprendiamo e lo viviamo.

Conclusione: l’etica dell’equilibrio tecnologico

Guardando indietro a quei pomeriggi passati a ordinare schede perforate, non provo rimpianto ma gratitudine. Non vorrei certamente tornare a quell’epoca, ma sono felice di aver attraversato quella fase formativa. Mi ha insegnato il valore della pazienza, della precisione e della comprensione profonda: lezioni che hanno plasmato non solo il mio approccio alla programmazione, ma alla vita stessa.

Il vero progresso, forse, non sta nella cieca accelerazione, ma nella capacitΓ  di integrare il nuovo preservando il meglio del vecchio. Nell’era dell’intelligenza artificiale, la vera intelligenza umana si manifesta nella capacitΓ  di rallentare quando serve, di toccare la materia del codice quando necessario, di riconnettersi con le basi anche mentre voliamo verso le vette dell’astrazione.

La domanda “quanto di noi stiamo perdendo in cambio di questa incredibile efficienza?” non ha una risposta semplice. Ma il fatto stesso che ce la poniamo Γ¨ giΓ  un primo passo verso un umanesimo digitale consapevole, un cammino dove la tecnologia amplifica la nostra umanitΓ  invece di sostituirla.

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