Dati OCSE: L’Italia che Non Posso Accettare ma…….

Dati Ocse, in Italia un laureato su tre. Investimenti sotto la media


Ocse: “Il 35% degli italiani adulti non è in grado di capire testi lunghi e di valutare dati e statistiche”

Nel nostro Paese solo il 21% degli studenti consegue una laurea triennale nelle materie Stem: è quanto emerge dal report annuale “Education at a Glance 2025”.  C’è poi il nodo maturità: la consegue il 63 % dei giovani adulti con almeno un genitore in possesso di un titolo di studio terziario, ma solo il 15% di coloro i cui genitori non hanno completato le superiori. Crisi anche per quanto riguarda i professori che hanno visto i loro stipendi diminuiti in 10 anni del 4,4%


🚨 Un Risveglio Amaro: La Fotografia di un Paese che Si Spegne

Mi sveglio ogni mattina con la speranza di leggere notizie che parlino di un’Italia che cresce, che investe nel futuro, che abbraccia l’innovazione senza dimenticare le proprie radici umanistiche. Invece, mi ritrovo di fronte a dati che mi gelano il sangue e che, come umanista digitale, non posso semplicemente accettare o normalizzare.

Il recente rapporto OCSE non è solo una statistica fredda: è lo specchio spietato di una nazione che sta perdendo la sua anima culturale proprio nel momento storico in cui avrebbe più bisogno di riaffermarla. Quando leggo che il 37% degli adulti italiani non comprende testi semplici – contro il 27% della media OCSE – non vedo solo numeri, vedo milioni di persone private del diritto fondamentale di comprendere il mondo che le circonda.

📉 I Numeri che Raccontano il Declino

Permettetemi di condividere con voi l’amarezza che provo quando analizzo questi dati devastanti:

Il panorama universitario italiano:

  • Solo il 22% degli adulti tra 25 e 64 anni possiede una laurea (contro il 42% OCSE)
  • Tra i giovani 25-34enni, solo il 32% è laureato (contro il 48% OCSE)
  • Chi ha un genitore laureato ha quasi il 50% di probabilità in più di conseguire una laurea

Questi numeri non rappresentano solo statistiche educative: sono la testimonianza di un sistema che perpetua le disuguaglianze e che condanna intere generazioni a un futuro di subalternità culturale ed economica.

🔍 Il Paradosso del XXI Secolo: Quando la Conoscenza Diventa “Inutile”

Quello che mi colpisce di più, come osservatore della società contemporanea, è la diffusione di uno stereotipo pericoloso e fallace: l’idea che la laurea non serva a lavorare. È un mantra che sento ripetere troppo spesso, una narrazione tossica che sta minando le fondamenta stesse del nostro progresso sociale.

I dati, però, raccontano una storia completamente diversa:

Per le donne meridionali:

  • Il 72% delle laureate trova occupazione
  • Solo il 50% delle diplomate lavora
  • Appena il 30% di chi ha la licenza media ha un impiego

La laurea non è solo un pezzo di carta: è libertà economica, indipendenza, possibilità di scelta. È la differenza tra subire il proprio destino e costruirlo attivamente.

💸 L’Investimento Che Non C’è: Quando Risparmiare Significa Perdere

Come esperto di competenze digitali, so bene che nell’era dell’intelligenza artificiale, investire poco in conoscenza significa condannarsi all’irrilevanza. Eppure l’Italia continua a sottoinvestire:

  • 3,9% del PIL in istruzione (contro il 4,7% OCSE)
  • 8.992 euro per studente universitario (contro i 15.102 euro OCSE)
  • Solo il 33% di vantaggio salariale per i laureati (contro il 54% OCSE)

Questi numeri mi fanno riflettere su una domanda fondamentale: come possiamo competere in un mondo dove l’AI sta rivoluzionando ogni settore, se non investiamo nelle menti che dovranno guidare questa trasformazione?

🤖 L’Intelligenza Artificiale: Opportunità o Condanna?

Come fautore dell’Umanesimo Digitale, vedo nell’intelligenza artificiale non una minaccia, ma un’opportunità straordinaria per amplificare le capacità umane. Tuttavia, questa opportunità richiede una popolazione culturalmente preparata, capace di pensiero critico, in grado di navigare la complessità dell’infosfera contemporanea.

Il rischio è concreto: mentre altri Paesi investono massicciamente nell’educazione per preparare i propri cittadini all’era dell’AI, l’Italia rischia di trovarsi con una popolazione impreparata ad affrontare le sfide del futuro. Il gap non farà che aumentare, creando un divario digitale e culturale incolmabile.

🌱 La Svolta che Possiamo (e Dobbiamo) Realizzare

Non accetto la rassegnazione. Non accetto che l’Italia rinunci a sé stessa. Come digital coach e formatore, credo fermamente che sia possibile invertire questa tendenza, ma servono scelte coraggiose:

Investimenti strategici:

  • Raddoppiare i fondi per università e ricerca
  • Creare percorsi di orientamento più efficaci
  • Garantire l’accesso equo alla formazione superiore
  • Valorizzare economicamente le competenze acquisite

Rivoluzione culturale:

  • Restituire dignità sociale a chi studia, insegna e ricerca
  • Combattere gli stereotipi anti-intellettuali
  • Promuovere l’apprendimento continuo come valore sociale
  • Integrare etica e tecnologia nell’educazione

🔮 Il Futuro che Voglio Costruire

Immagino un’Italia dove ogni cittadino sia un cittadino digitale consapevole, capace di utilizzare la tecnologia per il proprio sviluppo personale e professionale. Un Paese dove l’umanesimo e il digitale si fondono in una sintesi virtuosa, dove la formazione è vista come investimento nel futuro e non come costo da tagliare.

L’umanesimo digitale che promuovo non è solo una filosofia: è una strategia di sopravvivenza culturale. È la convinzione che possiamo mettere le persone al centro della rivoluzione tecnologica, ma solo se quelle persone sono culturalmente attrezzate per comprenderla e guidarla.

🚀 L’Appello Finale: Risvegliamo l’Italia

Un’Italia che svaluta sapere e cultura è un’Italia che rinuncia alla propria identità più profonda. Ma un’Italia che investe nella conoscenza è una democrazia che si rigenera, un Paese che sceglie il futuro invece di subirlo.

Il tempo delle mezze misure è finito. Abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale che parta dalle scuole e arrivi alle università, che coinvolga le famiglie e le imprese, che faccia della conoscenza il vero motore di sviluppo del Paese.

Io non accetto l’Italia fotografata dall’OCSE. Io voglio l’Italia che possiamo diventare. E voi? 💪

Aggiornamento importante dell’articolo

Quando i numeri diventano stigma… e poi rivelazione

La vecchia narrazione: siamo “ultimi” e poco colti?

Per anni ho condiviso, con occhio critico ma in fondo arrendevole, il pensiero dominante che l’Italia fosse il fanalino di coda della cultura europea. I dati “Education at a Glance” dell’OCSE — puntualmente rilanciati da media e opinionisti — sembravano impietosi: solo un terzo degli italiani conseguiva una laurea, a fronte di percentuali ben più alte in Francia, Germania, Spagna; siamo pieni di adulti incapaci di comprendere testi complessi; la nostra laurea è “di famiglia”, muro difficile da scavalcare per chi nasce senza privilegi sociali.

La statistica diventava così giudizio collettivo, condita dalla narrazione del paese arretrato, in una spirale che pareva confermare la nostra “patologica” assenza di alfabetizzazione alta e competenze avanzate. Colpa della scuola? Dei giovani troppo protetti? Del disinvestimento pubblico? Tutte queste domande rimbalzavano tra le pagine dei giornali, senza mai scrostare la superficie del dato.

Il punto di svolta: scavare nell’OCSE, trovare mele e pere

Ma poi, l’impulso ingegneristico di non fermarsi al titolo mi ha spinto ad aprire gli allegati metodologici dell’OCSE, a leggere documenti ministeriali e confronti europei, ad analizzare come davvero sono costruite quelle percentuali. E allora è arrivata una verità capovolta, quasi provocatoria: l’idea di un’Italia irrimediabilmente “ignorante” è il frutto di un confronto metodologicamente iniquo e statisticamente viziato.

Sì, la tesi secondo cui la statistica OCSE sui laureati “inganna” e penalizza artificialmente l’Italia rispetto ad altri paesi europei è, nei suoi punti principali, sostanzialmente attendibile e confermata dagli approfondimenti metodologici disponibili nei report internazionali e dal confronto dei sistemi di istruzione europei.

La verità su “Italia ultima per laureati”

Ogni anno i media italiani ripropongono titoli drammatici che collocano l’Italia agli ultimi posti in Europa per numero di laureati. Ma la realtà che emerge leggendo le note metodologiche dei report OCSE è più complessa ed è spesso travisata dalla semplificazione giornalistica.

Come funziona la statistica OCSE

L’OCSE, nel suo rapporto annuale “Education at a Glance”, confronta il livello di istruzione terziaria (tertiary education) includendo una vasta gamma di titoli: non solo le classiche lauree universitarie triennali e magistrali, ma anche titoli tecnici superiori, diplomi brevi, accademie e istituti professionali post-diploma che, in Italia, non vengono considerati “laurea”. Quindi:

  • In Germania e Francia, percorsi post-secondari brevi (come Fachschule e BTS) sono conteggiati nei dati OCSE sui laureati.
  • In Spagna sono considerati anche i grado medio/superior.
  • In Italia, percorsi equivalenti come gli ITS, i conservatori musicali o accademie artistiche non vengono inclusi nel dato nazionale.

Esempi concreti

  • In Francia il 50% dei “laureati terziari” ha fatto percorsi brevi come il BTS; in Germania oltre il 40% proviene da corsi di 2-3 anni post diploma.
  • In Italia, invece, il 20-32% di giovani con titolo terziario conteggia solo le università e non i percorsi brevi di alta formazione professionale.

I numeri OCSE e la realtà italiana

I dati ufficiali OCSE confermano che l’Italia (tra i 25-34enni) si attesta attorno al 20-32% di laureati, contro il 40% tedesco, il 42-53% di Francia e Spagna e la media OCSE di poco sotto il 50%. Tuttavia, se anche l’Italia conteggiasse come “terziario” i suoi percorsi ITS e simili, la percentuale reale dei giovani con titolo terziario supererebbe il 30%, risultando molto più vicina alla media europea.

Il paradosso culturale e mediatico

Oltre al tecnicismo, c’è anche un fattore culturale: da noi la laurea triennale viene ancora spesso vista come “mezza laurea”, mentre altrove è un titolo pieno e riconosciuto nel mondo del lavoro. Questo influenza anche la percezione e il valore sociale dei titoli di studio, distorcendo la narrazione pubblica.

Opinione personale: il dito è sui media, non su OCSE

Da umanista digitale, trovo che il vero problema non sia l’OCSE che, anzi, in ogni pubblicazione dettaglia con trasparenza i criteri utilizzati. È piuttosto una questione di pigrizia e frettolosità dei media italiani, che preferiscono titoli ad effetto e non si immergono mai nelle note metodologiche. Si tratta di una forma di “analfabetismo funzionale informativo”, la stessa che spesso viene rimproverata agli italiani secondo questi stessi report.

Penso sia fondamentale promuovere una cultura della lettura critica delle fonti e della consapevolezza metodologica dei dati, per potersi sottrarre alla narrazione tossica dell’“ultimo della classe”, spesso infondata.

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