L’evoluzione della presenza online: il passaggio dai siti personali alle piattaforme integrate

L’evoluzione della presenza online: il passaggio dai siti personali alle piattaforme integrate


Il tuo sito personale è un fossile (e ti sta costando caro)

Ammettilo. Ti piace l’idea di avere il tuo piccolo castello digitale. Ti piace dire “vai sul mio sito”. Ma guardiamo in faccia la realtà: il tuo sito personale è un deserto costoso, una reliquia di un’epoca, quella dei primi anni 2000, che non esiste più. La verità fa male, ma eccola qui: i siti personali stanno scomparendo perché, onestamente, non servono quasi più a nulla per la maggior parte dei creatori.


Il problema è la frizione. Un tempo, navigare significava saltare da un’isola all’altra mentre oggi, gli utenti vivono in continenti enormi e recintati. Nessuno si sveglia la mattina e digita il tuo URL nella barra degli indirizzi. Nessuno. La gente consuma contenuti tramite feed, scorrendo col pollice, immersa in ecosistemi come Substack, Medium, Gumroad o Patreon. Se non sei lì, non esisti. Il tuo sito è un negozio in una strada dove non passa nessuno, mentre le piattaforme sono centri commerciali affollati h24.

Parliamo della manutenzione, un incubo silenzioso. Gestire un sito “proprietario” è una trappola. Invece di creare, passi il tempo a fare il tecnico. Aggiornamenti di sicurezza, plug, in che vanno in conflitto, certificati SSL scaduti, cookie banner legali che ti fanno venire il mal di testa. È un lavoro part, time non retribuito. I creatori intelligenti hanno capito che il tempo speso a risolvere un errore 404 è tempo rubato alla scrittura o alla creazione di valore. Le piattaforme gestiscono tutto questo per te. Loro si occupano dell’infrastruttura, tu ti occupi del messaggio.

C’è poi la questione della scoperta. Un sito personale, per quanto bello, ha un SEO debole se non sei già una celebrità o non pubblichi ogni giorno da dieci anni. È un granello di sabbia. Le piattaforme, invece, hanno algoritmi di raccomandazione. Hanno un’autorità di dominio mostruosa. Pubblicare un articolo su Medium o una newsletter su Substack ti dà una visibilità immediata che il tuo blog su WordPress impiegherebbe anni a costruire. Lo slancio è tutto, e partire da zero su un dominio isolato è come correre con le caviglie legate.

“Ma voglio il controllo!”, gridano i puristi. “Voglio il mio design!”. Fesserie. Agli utenti non importa del tuo font personalizzato o del tuo header animato in JavaScript. Agli utenti importa la leggibilità, la familiarità, la velocità. Vogliono interfacce uniformi che sanno già usare. Un profilo Notion ben curato o un link, in, bio intelligente sono i nuovi siti personali. Sono funzionali, veloci e vanno dritti al punto.

Ovviamente, ci sono eccezioni. Se sei un’agenzia web, un brand visivo complesso o hai esigenze di integrazione software folli, allora sì, tieni il tuo sito. È come avere un telefono fisso: utile in casi specifici, ma obsoleto per la vita quotidiana. Per chi scrive, insegna o vende conoscenza, il sito personale è zavorra.

Alla Fine….

Alla fine, il vero valore non è nel possedere un castello digitale, ma nel costruire ponti tra persone, idee e conoscenza. Un sito vive davvero solo se racconta qualcosa di più grande di noi, se diventa luogo di dialogo, confronto e crescita condivisa.
L’umanesimo digitale ci insegna a non cedere al fascino sterile del possesso, ma ad abitare la rete con spirito aperto, accogliendo ogni nuova piattaforma come un’opportunità per amplificare la nostra voce – restando sempre padroni dei nostri valori, prima ancora che dei nostri domini.

Vi invito quindi a non temere il cambiamento: ripensate i vostri spazi digitali come strumenti al servizio dell’incontro e della conoscenza. Che sia un sito, una pagina social o una community, ciò che conta davvero è la possibilità di costruire insieme un futuro in cui la tecnologia sia alleata della crescita umana, mai semplice fine a se stessa.

Restiamo costruttori di ponti, non di castelli. La vera rivoluzione digitale, in fondo, inizia da qui.

Domande Frequenti: La fine dei Siti Personali

È davvero rischioso non possedere la propria piattaforma?

Il rischio esiste (“platform risk”), ma è spesso sovrastimato rispetto al rischio di “irrilevanza”. Un sito personale che nessuno visita è sicuro, ma inutile. La strategia migliore è usare le piattaforme per la crescita e mantenere un database di email (newsletter) come vera proprietà portatile.

Come faccio a farmi trovare su Google senza un sito?

Le piattaforme come Medium, LinkedIn o Substack hanno un’autorità di dominio (“Domain Authority”) altissima. Spesso un articolo pubblicato lì si posiziona su Google molto più velocemente e in alto rispetto allo stesso articolo pubblicato su un blog personale nuovo o poco frequentato.

Non sembro meno professionale senza un dominio .com?

Questa percezione è cambiata. Oggi la professionalità si misura dalla qualità del contenuto e dalla costanza, non dall’URL. Un profilo Substack curato o una pagina Notion ben strutturata sono ormai standard accettati anche per professionisti di alto livello.

Cosa succede se la piattaforma chiude o cambia le regole?

La regola d’oro è: “Costruisci su terreno affittato, ma possiedi la lista degli invitati”. Assicurati sempre di poter esportare la tua lista di iscritti (email) e i tuoi contenuti. Piattaforme serie come Substack permettono l’export completo in qualsiasi momento.

Per chi ha ancora senso mantenere un sito classico?

Ha senso per e-commerce complessi, grandi aziende, agenzie creative che devono mostrare capacità di design web estreme, o servizi che richiedono integrazioni tecniche personalizzate non supportate dalle piattaforme standard.

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