“La Grande Svendita: Il Declino Economico dell’Italia dagli Anni ’90”

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Privatizzazione e Svendita


Privatizzare per affondare: La strategia suicida dell’Italia

Attenti alla ‘Grande Svendita’! L’Italia ha già ceduto troppo, e i risultati sono sotto i nostri occhi: un debito pubblico fuori controllo, servizi pubblici in declino, e un’economia sempre più fragile. Non permettiamo che la nostra storia si ripeta. Non vendiamo il futuro del nostro Paese. Le privatizzazioni non sono la soluzione, ma il problema. Resistiamo!


privatizzazione Svendita
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Generazione in saldo: Giovani senza futuro in un paese svenduto

Era il 1992 quando, da giovane consulente, assistetti all’inizio di quella che sarebbe stata chiamata la “stagione delle privatizzazioni” in Italia. All’epoca, il debito pubblico aveva raggiunto il 105% del PIL, e il governo Amato decise che era giunto il momento di vendere i gioielli di famiglia.

Il primo grande colpo fu la trasformazione dell’IRI, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale, da ente pubblico a società per azioni. L’IRI, creato nel 1933, era stato il motore dell’economia italiana per decenni, controllando oltre 1000 aziende in settori strategici come siderurgia, telecomunicazioni e trasporti.

Nel 1993, sotto il governo Ciampi, iniziò la vera e propria ondata di privatizzazioni. Ricordo bene l’entusiasmo che circondava queste operazioni. “Finalmente efficienza nel settore pubblico!”, si diceva. Ma i numeri raccontano una storia diversa.

Tra il 1992 e il 2000, lo Stato italiano incassò circa 198 miliardi di euro dalle privatizzazioni. Sembrava una cifra enorme, ma rappresentava solo il 13% del debito pubblico dell’epoca. E mentre il debito continuava a crescere, passando dal 105% del 1992 al 109% del 2000, stavamo cedendo il controllo di settori cruciali dell’economia.

Nel 1994 fu la volta di IMI e INA, due colossi del settore bancario e assicurativo. Nel 1997, Telecom Italia venne privatizzata, con lo Stato che cedette il 39,5% delle azioni per 26 miliardi di euro. Era l’inizio di un declino che avrebbe portato l’ex monopolista delle telecomunicazioni a perdere competitività a livello internazionale.

Il 1999 vide la privatizzazione di ENEL, con lo Stato che cedette il 31,7% delle azioni. Nonostante le promesse di maggiore efficienza, i prezzi dell’elettricità in Italia rimasero tra i più alti d’Europa.

Ma il vero shock arrivò con la privatizzazione delle autostrade nel 1999. La società Autostrade, che gestiva oltre 3.000 km di rete autostradale, fu ceduta alla famiglia Benetton per soli 2,5 miliardi di euro. Nei 20 anni successivi, la società avrebbe generato oltre 10 miliardi di dividendi per i suoi azionisti, mentre gli investimenti nella manutenzione della rete restavano insufficienti, come tragicamente dimostrato dal crollo del Ponte Morandi a Genova nel 2018.

Guardando indietro, i numeri sono impietosi. Secondo uno studio della Banca d’Italia del 2015, le privatizzazioni degli anni ’90 e 2000 hanno portato a una riduzione del debito pubblico di soli 3,5 punti percentuali di PIL. Un risultato misero, considerando ciò che abbiamo ceduto.

Inoltre, l’occupazione nei settori privatizzati ha subito un duro colpo. Telecom Italia, ad esempio, è passata da 124.000 dipendenti nel 1997 a meno di 50.000 oggi in Italia.

Conseguenze Economiche e Sociali

Le conseguenze delle privatizzazioni sono evidenti: il debito pubblico ha continuato a crescere, raggiungendo il 155% del PIL nel 2020. I servizi pubblici sono in declino e l’ineguaglianza economica è aumentata, con l’1% più ricco della popolazione che detiene il 22% della ricchezza nazionale. Le privatizzazioni non solo hanno arricchito pochi, ma hanno anche impoverito molti, lasciando irrisolti i problemi strutturali dell’economia italiana.Inoltre, le promesse di maggiore efficienza non si sono materializzate.

Ad esempio, nonostante la privatizzazione di ENEL nel 1999, i prezzi dell’elettricità in Italia rimangono tra i più alti d’Europa. La gestione delle infrastrutture pubbliche è stata criticata per la mancanza di investimenti adeguati: il crollo del Ponte Morandi a Genova nel 2018 è un tragico esempio delle conseguenze della scarsa manutenzione.

Il silenzio dopo la svendita: Cosa ci resta dopo le privatizzazioni?

Oggi, mentre sento parlare di nuove privatizzazioni – porti, ferrovie, persino l’acqua – non posso fare a meno di pensare a quei numeri. Il debito pubblico, nonostante tutto, ha raggiunto il 155% del PIL nel 2020. E mentre l’1% più ricco della popolazione detiene il 22% della ricchezza nazionale (dati Oxfam 2021), i servizi pubblici continuano a deteriorarsi.

La lezione della storia è chiara: le privatizzazioni non sono state la panacea promessa. Hanno arricchito pochi, impoverito molti, e lasciato irrisolti i problemi strutturali del paese.

Ora, di fronte a nuove proposte di “apertura al mercato”, dobbiamo chiederci: vogliamo davvero ripetere gli errori del passato? O è giunto il momento di ripensare radicalmente il nostro modello economico, puntando su investimenti pubblici mirati, innovazione e tutela dei beni comuni?

La scelta è nelle nostre mani. E questa volta, abbiamo trent’anni di storia a insegnarci cosa non fare.

Il debito pubblico italiano: storia di un sasso diventato macigno

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Privatizzare per affondare: La strategia suicida dell’Italia – FAQ

Privatizzare per affondare: La strategia suicida dell’Italia

Quando hanno avuto inizio le privatizzazioni in Italia?

Le privatizzazioni in Italia hanno avuto inizio nel 1992, quando il debito pubblico aveva raggiunto il 105% del PIL. Il governo Amato decise allora di vendere i “gioielli di famiglia”, a partire dalla trasformazione dell’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) da ente pubblico a società per azioni.

Quali sono stati i principali effetti delle privatizzazioni?

Tra il 1992 e il 2000, lo Stato italiano incassò circa 198 miliardi di euro dalle privatizzazioni, ma questo rappresentò solo il 13% del debito pubblico dell’epoca. Allo stesso tempo, il debito pubblico continuava a crescere, passando dal 105% del 1992 al 109% del 2000. Inoltre, l’occupazione nei settori privatizzati ha subito un duro colpo, come dimostrato dal calo dei dipendenti di Telecom Italia.

Quali sono stati i casi più emblematici di privatizzazioni in Italia?

Alcuni dei casi più emblematici sono la privatizzazione di IMI e INA nel 1994, di Telecom Italia nel 1997, di ENEL nel 1999 e delle autostrade, con la cessione della società Autostrade alla famiglia Benetton per soli 2,5 miliardi di euro nel 1999.

Qual è il bilancio complessivo delle privatizzazioni?

Secondo uno studio della Banca d’Italia, le privatizzazioni degli anni ’90 e 2000 hanno portato a una riduzione del debito pubblico di soli 3,5 punti percentuali di PIL. Nel frattempo, il debito pubblico è cresciuto fino al 155% del PIL nel 2020, mentre i servizi pubblici continuano a deteriorarsi e l’1% più ricco della popolazione detiene il 22% della ricchezza nazionale.

Quali sono i principali rischi delle nuove proposte di privatizzazione?

Di fronte a nuove proposte di privatizzazione, come la vendita di porti, ferrovie e persino acqua, è necessario imparare dagli errori del passato. Le privatizzazioni non hanno risolto i problemi strutturali del Paese, ma hanno arricchito pochi e impoverito molti. È giunto il momento di ripensare radicalmente il nostro modello economico, puntando su investimenti pubblici mirati, innovazione e tutela dei beni comuni.

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