Pensiamo a cosa significa realmente questo spostamento di potere, non dal punto di vista degli analisti finanziari che contano gli zero nei loro fogli di calcolo, ma dal punto di vista di chi, come me, ha passato decenni a osservare come le storie modellano le società . Netflix, una piattaforma nata meno di due decenni fa come servizio di noleggio DVD attraverso la posta, ha messo le mani su alcuni dei marchi più iconici della storia del settore: DC Comics, le produzioni HBO che hanno definito una generazione di spettatori, interi universi narrativi che hanno creato l’immaginario collettivo di miliardi di persone. È come se una startup improvvisamente acquisisse il Louvre, la Biblioteca Vaticana e tutti i teatri di Broadway contemporaneamente. Un secolo di cultura, concentrato sotto un’unica interfaccia, controllato da un’unica intelligenza algoritmica.
La promessa è seducente, lo ammetto. Immaginate per un momento di avere tutto in un solo abbonamento, probabilmente più caro di prima, ma comunque tutto lì: i Soprano che ti hanno insegnato come fare serialità televisiva moderna, Batman nelle sue infinite incarnazioni, il caos magnifico di HBO Max, i fumetti che hanno alimentato i sogni di tre generazioni. È il sogno dell’universalità , la promessa di accedere a tutto senza dover saltellare da una piattaforma all’altra come un nomade digitale contemporaneo. Ma è proprio qui che il fascino inizia a trasformarsi in inquietudine.
"Quando la cultura si concentra nelle mani di pochi, la libertà creativa inizia a diventare un'opzione piuttosto che un diritto, e la diversità narrativa si trasforma in un'illusione di scelta controllata."
Concentrazione di Potere
Quando concentri così tanto potere creativo, così tanta ricchezza narrativa, così tanto controllo sulla distribuzione del significato culturale all’interno di un’unica entità , succede qualcosa di insidioso. Non è un’esplosione drammatica, non è l’inizio di un’era buia con campane che suonano a morto, è qualcosa di molto più sottile e forse proprio per questo più pericoloso: inizia la lenta ottimizzazione della creatività secondo metriche algoritmiche. Le storie iniziano a essere plasmate non dalla visione di un autore, dal desiderio di un regista di raccontare una verità che sente ardere dentro, ma dalla capacità predittiva di algoritmi che sanno esattamente quale contenuto tiene incollato lo spettatore medio per il maggior numero di minuti possibile.
Pensate a cosa comporta davvero questa concentrazione di potere a livello culturale. Quando una singola piattaforma controlla così tanta della nostra narrazione condivisa, quando detiene i diritti su eroi che abbiamo amato fin dall’infanzia, su universi che hanno plasmato la nostra immaginazione collettiva, non stiamo parlando solo di economia o di mercato dello streaming. Stiamo parlando di chi decide cosa è meritevole di essere raccontato, qual è la versione ufficiale dei nostri miti moderni, quale visione del mondo viene amplificata e quale viene silenziata. È il controllo sulla cultura nel suo senso più puro e più potente, e non è una cosa che dovremmo prendere alla leggera.

I Pro
Da un lato, certo, ci sono i vantaggi tangibili che non posso ignorare. La possibilità di investire massiccamente in qualità produttiva, di creare esperienze coesive all’interno di uno stesso universo narrativo, di avere dietro le spalle la stabilità finanziaria per raccontare storie che richiedono budgets monstre e pazienza per sviluppare pubblici fedeli. Netflix adesso ha le risorse per fare quello che nessun’altra piattaforma potrebbe fare, e questo potrebbe significare contenuti straordinari, innovazione senza precedenti, produzione di qualità che prima era semplicemente impossibile.
I contro
Ma dall’altro lato, quando la libertà creativa viene gradualmente sacrificata sull’altare dell’ottimizzazione algoritmica, quando i rischi artistici vengono scoraggiati perché non producono il “tasso di coinvolgimento” desiderato, quando le storie iniziano tutte a sembrare tagliate con lo stesso coltello perché sono state tutte passate attraverso lo stesso algoritmo di previsione di successo, allora abbiamo un problema profondo che va ben oltre Netflix o Warner Bros. Abbiamo un problema di conformismo culturale mascherato da diversità , di pluralismo controllato, di libertà apparente nascosta dietro interface che sembrano infinite ma sono in realtà rigorosamente curate.
Sul piano economico e di mercato, le conseguenze sono altrettanto sismiche. Disney, il colosso che sembrava invincibile pochi anni fa, ora si ritrova a doversi confrontare con un competitor che ha il doppio della sua ricchezza narrativa, della sua capacità di controllo sulla distribuzione, della sua capacità di monetizzare attraverso abbonamenti globali. Il declino recente dell’Universo Marvel, quel sentimento diffuso che i contenuti Marvel non abbiano più la stessa magia di prima, non è casuale, è il risultato di quella stessa ottimizzazione algoritmica di cui sto parlando. Quando crei contenuti sulla base di metriche predittive anziché sulla visione artistica, alla fine il pubblico lo sente, e si stanca.
Amazon è forse l’unico competitor in grado di reggere davvero questo urto, grazie alla sua base economica diversificata e alla sua capacità di correre perdite nel settore dello streaming per anni senza preoccuparsi della redditività immediata. Tutti gli altri, tutti i piccoli servizi di streaming che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni, dovranno fare scelte drastiche: evolversi in modo radicale, fondersi con qualcun altro, oppure essere spazzati via dalla storia come dinosauri che non hanno saputo adattarsi a un nuovo ambiente.
E forse è proprio questa la consapevolezza più inquietante che voglio condividere con voi: l’industria dell’intrattenimento non sarà mai più la stessa. Stiamo entrando in un’era nuova, un’era che gli analisti e gli imprenditori descrivono con un linguaggio asettico di “consolidamento di mercato” e “sinergie strategiche”, ma che in realtà rappresenta il momento in cui le piattaforme globali hanno finalmente superato Hollywood nel vero senso della parola. Non stanno più sfidando il sistema hollywoodiano cercando di convincerlo, di competere per la sua attenzione, di negoziare il loro posto al tavolo, le piattaforme sono diventate Hollywood. Sono diventate la cultura stessa.
Quello che mi preoccupa
Quello che mi preoccupa non è il cambiamento in sé, perché il cambiamento è sempre stato parte dell’evoluzione culturale umana. È la velocità di questo cambiamento e soprattutto la concentrazione di potere che lo accompagna. Quando il tuo settore si consolida così rapidamente, quando vedi scomparire la possibilità di avere voci alternative, piattaforme indipendenti che possono raccontare storie diverse, allora inizi a temere che la diversità narrativa che credevamo di avere sia stata solo un’illusione temporanea, un’aberrazione statistica nel cammino verso la concentrazione totale del controllo culturale.
E tuttavia, non posso ignorare una possibilità più ottimista. Forse questa concentrazione di potere porterà anche una consapevolezza più acuta di quanto sia importante proteggere la diversità narrativa, quanto sia cruciale che non tutto il controllo della cultura rimanga in poche mani, quanto sia vitale che continui a esistere spazio per voci indipendenti, per filmmaker che rifiutano l’ottimizzazione algoritmica, per creatori che preferiscono rischiare tutto per un’idea piuttosto che conformarsi a metriche predefinite. Forse questo momento estremo di concentrazione sarà anche il momento in cui la società inizierà a fare domande seriamente su quanta cultura siamo disposti a cedere in cambio di convenienza, su quanto potere vogliamo concentrare in poche mani globali, su quale tipo di società e di immaginario collettivo vogliamo effettivamente abitare.
Come ha scritto qualcuno, e non posso fare a meno di condividere questa osservazione profonda: “Stiamo entrando in un nuovo capitolo in cui le piattaforme globali non si limitano a sfidare Hollywood, ma diventano Hollywood.” E con questo cambio di identità , con questa trasformazione radicale di cosa significa avere potere nell’industria dell’intrattenimento moderno, dobbiamo anche noi trasformare il modo in cui pensiamo alla cultura, al controllo, alla libertà creativa e al significato stesso di vivere in una società dove la narrativa condivisa è sempre più centralizzata, sempre più ottimizzata, sempre meno selvaggia.
La domanda che rimarrà sospesa nell’aria, quella che dovremmo continuare a porci mentre questo nuovo ordine si consolida, è semplice ma dirompente: vogliamo davvero una cultura così concentrata? E se la risposta è no, cosa siamo disposti a fare per evitarlo?
Domande Frequenti
Da informatico a cercatore di senso






