Vi è mai capitato di guardare il cursore che lampeggia sullo schermo, in attesa che un software di intelligenza artificiale completi in pochi secondi un compito che fino a ieri vi avrebbe richiesto ore, e di sentire non un senso di sollievo ma una sottile e strisciante ansia? È una sensazione paradossale che conosco bene e che, come ingegnere informatico innamorato dell’umanesimo, osservo con crescente preoccupazione.
Ci avevano promesso che la tecnologia ci avrebbe liberato dal giogo della fatica ripetitiva regalandoci il bene più prezioso che possediamo, ovvero il tempo, eppure ci ritroviamo a fine giornata più esausti e svuotati di prima. Non è solo una mia impressione, i dati parlano chiaro e confermano che siamo caduti in una trappola seducente: un loop infinito dove il tempo risparmiato non viene accumulato nel nostro conto corrente esistenziale ma viene immediatamente reinvestito in altro lavoro.
Il Paradosso dell’Efficienza: Quando i numeri smentiscono la promessa
Per capire la gravità della situazione non serve guardare lontano, basta osservare le statistiche più recenti che dipingono un quadro inequivocabile. Il Work Trend Index 2024 di Microsoft ha rivelato una verità scomoda: mentre il 75% dei lavoratori della conoscenza utilizza ormai l’AI sul posto di lavoro, il 68% dichiara di lottare con il ritmo e il volume del lavoro stesso. È la prova concreta che l’adozione massiccia di questi strumenti non ha alleggerito il carico ma ha paradossalmente aumentato la pressione.
Esiste un concetto economico noto come “Paradosso di Jevons” che spiega perfettamente questo fenomeno: quando l’innovazione aumenta l’efficienza con cui si utilizza una risorsa, il consumo totale di quella risorsa aumenta anziché diminuire. Se ChatGPT mi permette di scrivere una mail complessa in trenta secondi invece che in dieci minuti, la logica vorrebbe che io usassi i restanti nove minuti per riflettere, invece il sistema mi spinge a scrivere altre venti email.
La “Productivity Theater” e il rischio Burnout
La situazione diventa ancora più critica se analizziamo come questo tempo viene riempito. Secondo un recente studio del Slack Workforce Lab, chi utilizza l’AI ha il 42% di probabilità in più di sentirsi spinto a mostrare di essere occupato, cadendo in quella che viene definita “productivity theater”, ovvero la recita della produttività. Invece di usare il tempo guadagnato per la strategia, lo usiamo per segnalare al mondo che stiamo lavorando, creando un rumore di fondo che ci logora.
E il costo umano? È altissimo. Il report Gallup 2024 sullo stato globale del posto di lavoro evidenzia che il 48% dei dipendenti si sente “bruciato” (burnout) o stressato, una percentuale che non accenna a diminuire nonostante l’introduzione di questi “aiutanti digitali”. Anche Upwork, nel suo ultimo studio, ha rilevato che il 77% dei lavoratori sente che l’AI ha aumentato il carico di lavoro invece di diminuirlo, costringendoli a spendere più tempo a revisionare e gestire gli output delle macchine piuttosto che a creare.
La perdita della “Lentezza Cognitiva” necessaria per comprendere
Nel mio percorso di divulgazione, insistendo sempre sull’importanza di togliere la paura verso l’AI ma moderando al contempo i facili entusiasmi, noto che il rischio maggiore non è che le macchine prendano il sopravvento ma che noi umani iniziamo a pensare come loro. Le macchine sono ottimizzate per l’output veloce, mentre l’essere umano è progettato per la profondità e per quella che mi piace definire “lentezza cognitiva”. È proprio nei momenti di pausa che nasce l’intuizione creativa.
Se saturiamo ogni istante con attività produttive supportate dall’AI, stiamo erodendo il terreno fertile della nostra intelligenza biologica. Penso agli interpreti e ai traduttori: se usano l’AI solo per tradurre più parole al minuto diventeranno obsoleti, ma se useranno il tempo risparmiato per approfondire il contesto culturale e le sfumature emotive che nessuna macchina può cogliere, allora diventeranno insostituibili.
Riscoprire l’Umanesimo Digitale come atto di resistenza
Come possiamo dunque uscire da questo loop infernale senza rinunciare ai vantaggi della tecnologia? La risposta risiede in un approccio consapevole che rimetta l’uomo al centro. Dobbiamo imparare a porre dei confini intenzionali al nostro flusso di lavoro. La prossima volta che l’intelligenza artificiale vi farà risparmiare un’ora, abbiate il coraggio di non riempirla con altro lavoro a basso valore aggiunto. Usate quel tempo per coltivare le relazioni umane o per studiare.
La tecnologia deve essere uno strumento di emancipazione e non un tiranno che detta i ritmi del nostro respiro. In conclusione, credo fermamente che la vera rivoluzione non stia nell’adottare l’ultimo modello neurale ma nel cambiare la metrica del successo: non “quanto ho prodotto”, ma “quanto ho compreso e vissuto grazie all’aiuto delle macchine”.
📚 Fonti e Riferimenti Verificati
In qualità di ingegnere e umanista digitale, credo che ogni argomentazione debba basarsi su dati concreti. Ecco i link diretti agli studi e agli articoli che hanno supportato la stesura di questo testo:
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📰 Agenda Digitale:
Se l’AI ci restituisce tempo ma solo per altro lavoro: come uscire dal loop – (L’articolo che ha ispirato questa riflessione) - 📊 Microsoft & LinkedIn: Work Trend Index Annual Report 2024
- 📉 Upwork Research Institute: Study on AI and Workforce Productivity
- 🎭 Slack Workforce Lab: State of Work Report (Dati sulla “Productivity Theater”)
- 🔥 Gallup: State of the Global Workplace 2024 Report (Dati sul Burnout globale)

Domande Frequenti sull’AI e la Gestione del Tempo
Perché mi sento più stanco anche se l’AI mi aiuta?
È il “Paradosso dell’Efficienza” confermato dai dati (Microsoft, Upwork): l’AI velocizza l’esecuzione, ma aumenta il numero di decisioni e controlli che il tuo cervello deve fare, portando a un esaurimento mentale più rapido.
È vero che l’AI aumenta il carico di lavoro?
Purtroppo sì, per molti. Secondo Upwork, il 77% dei dipendenti riporta un aumento del carico di lavoro dovuto alla necessità di gestire, revisionare e apprendere i nuovi strumenti costantemente.
Come posso applicare l’umanesimo digitale nel mio lavoro quotidiano?
Inizia con piccoli passi: non automatizzare ciò che ti dà gioia o richiede empatia. Usa l’AI per i compiti ripetitivi, ma proteggi il tempo per la creatività e le relazioni, come suggeriscono le best practice contro il burnout.
Da informatico a cercatore di senso







