La solita ipocrisia incompetente dell’Europa

La solita ipocrisia incompetente dell'Europa


Quando l’Europa Si Sveglia e Dice “Facciamo un Indice!”…
Ma Tutti Usano Già ChatGPT

Dopo anni di promesse, discussioni e, ahimè, ritardi epocali, l’Europa annuncia il 6 giugno l’avvio della sperimentazione dell’Open Web Index (OWI), un progetto che si candida a diventare il “Google pubblico” del Vecchio Continente. L’idea è quella di creare un indice del web aperto, collaborativo e federato, non controllato da una Big Tech, una sorta di biblioteca digitale comune dove chiunque può accedere senza filtri aziendali. Un concept nobile che però arriva proprio mentre il mondo ha già messo in pratica un cambio di scena radicale: l’era dell’intelligenza artificiale che risponde direttamente alle domande senza fornirti link e senza passare dal via tradizionale dei motori di ricerca. Insomma, un po’ come scoprire il telefono fisso quando tutti aspettano lo smartphone 5G.


Il progetto Open Web Index è tutt’altro che una meteora: è un lavoro di 2,5 anni di ricerca e sviluppo, con petabyte di dati da raccogliere e organizzaré (OpenWebSearch.eu). L’infrastruttura promette di essere pubblica, trasparente e di fatto una sfida a Google, Apple e Microsoft, giganti che ormai dettano legge nel web e nell’intelligenza artificiale. Tuttavia, arriva mentre l’AI – da ChatGPT a Claude – governa le ricerche online e ha già cambiato le regole del gioco, rendendo obsolete le vecchie modalità di navigare nel web, spesso senza fornire fonti né contesto ai propri risultati.

La realtà è che l’Europa si affaccia su un mercato digitale già dominato da attori che producono risposte preconfezionate, rapide ma spesso sbagliate, che piacciono perché comode. Paradossalmente, l’OWI non punta a dare risposte ma a creare un terreno neutro su cui le AI possano imparare. Perché l’indice resta la base di conoscenza, il vero tesoro nascosto da cui dipende cosa la AI sa e cosa ignora.

Peccato che resti da capire se sarà abbastanza tardi per fermare l’inarrestabile ascesa di quelle stesse AI di cui ora tutti parlano, o se servirà solo a celebrare un ritorno nostalgico a un’era digitale superata.(SpringerLink)(OpenWebSearch.eu)

Instagram, il paladino (in ritardo) della sicurezza digitale: uno spettacolo tragicomico

Nel frattempo, l’Europa assiste a qualcosa di paradossale: Instagram, la piattaforma di social media con milioni di utenti minori, si presenta improvvisamente come campione della sicurezza e della protezione dei giovanissimi. Da spot pubblicitari e campagne TV, Meta – la società madre – fa la morale a tutti, chiedendo all’Europa di imporre la verifica dell’età a livello di app store e di introdurre leggi più rigide per tutelare i bambini.

Peccato che la realtà racconti una storia molto diversa: per anni Meta ha scelto di ignorare la verifica seria dell’età, basandosi solo sulla semplice auto-dichiarazione degli utenti, con milioni di minori che hanno mentito sulla loro età per entrare su Instagram. Le versioni “kids” dell’app non sono state altro che tentativi maldestri di agganciare nuovi utenti, e quando la pressione pubblica è diventata insostenibile, sono state fermate ma mai realmente sostituite da soluzioni efficaci. Nel frattempo, molte infrazioni alle policy di protezione dei minori sono rimaste irrisolte, con conseguenze molto concrete: aumento dei rischi di esposizione a contenuti dannosi, messaggi inappropriati e pubblicità mirate.

Meta è stata oggetto di multe record in Europa e sanzioni in altre parti del mondo, come l’Australia e lo stato americano dello Utah.(NPR)(Meta). E oggi, anziché assumersi la responsabilità, chiede che siano gli app store a fare il “lavoro sporco” della verifica, scaricando le proprie colpe su Apple, Google e altri.

Questo copione, fatto di ipocrisia e strategie di marketing ritardate, mette a nudo la distanza tra ciò che Instagram dichiara e ciò che effettivamente ha fatto negli ultimi anni in termini di sicurezza digitale. E la domanda che rimane è: quanti bambini rimarranno esposti prima che qualcuno prenda davvero sul serio il problema? E soprattutto: quanto serve una regolamentazione europea se chi dovrebbe applicarla continua a fare orecchie da mercante?5Rights Foundation

Quando l’Europa Si Sveglia e Dice “Facciamo un Indice!”… Ma Tutti Usano Già ChatGPT
Quando l’Europa Si Sveglia e Dice “Facciamo un Indice!”… Ma Tutti Usano Già ChatGPT

Il grande schema dell’Europa digitale: tra lenti scandagliamenti e grandi show irrealistici

L’Open Web Index e la retorica di Instagram sulla sicurezza minorile rappresentano due lati della stessa medaglia di una Europa digitale che spesso sembra muoversi con lentezza esasperante e con ipocrisia rampante. Da un lato, si prova a costruire un’alternativa al dominio delle Big Tech in un settore ormai in rapido cambiamento, dall’altro, si assiste a colossi digitali che fanno la morale ma hanno storia e pratica ormai ben diverse.

Il Digital Services Act, introdotto nel 2023 per regolare contenuti e pubblicità e proteggere utenti e minori, segna un passo avanti importante, ma la sua efficacia reale sarà misurata negli anni a venire. Per ora, la Commissione Europea deve addirittura ricorrere a cause legali contro Stati membri che non applicano la legge e tiene sotto osservazione le stesse multinazionali tecnologiche per verificarne il rispetto.

La domanda non è più “Serve l’indice aperto?”, ma “L’Europa riuscirà mai a giocare un ruolo da protagonista nel futuro digitale o resterà soltanto uno spettatore costretto a rincorrere a occhi chiusi?”. Al momento, la risposta non è per nulla scontata.

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