Siamo ventitreesimi al mondo, e non ce ne accorgiamo. Anzi, peggio: stiamo rallentando

Siamo ventitreesimi al mondo, e non ce ne accorgiamo. Anzi, peggio: stiamo rallentando

Stanford Accende i Riflettori sull’IA Globale:
Ecco Come Misurare Davvero Chi sta Vincendo

Mi trovo spesso in situazioni paradossali quando parlo di intelligenza artificiale in Italia. Ceno con amici che mi dicono: “Franco, ormai di IA si parla ovunque. Leggo articoli ogni giorno, vedo startup che spuntano come funghi, ho sentito che il governo sta investendo miliardi.” E io, che vivo letteralmente dentro questo ecosistema, ascolto e penso: “Certo, hai ragione. Ma sai una cosa? Mentre noi parliamo, altri Paesi non solo creano il rumore, creano la realtà.”


Il problema non è che non parliamo di IA in Italia. Il problema è che parliamo così tanto che dimentichiamo di agire. E i numeri, brutalmente onesti, ce lo dicono in faccia.

Stanford, California: è da qui che arrivano le risposte più scomode sulla salute dell’intelligenza artificiale nel mondo. Lo Stanford Institute for Human-Centered AI (HAI), attraverso il suo AI Index, ha appena lanciato uno strumento che cambia il gioco: il Global AI Vibrancy Tool.

Non è l’ennesimo ranking che mette USA al primo posto e tutti gli altri a piangere; è qualcosa di più sofisticato, più onesto. Uno strumento che ti permette di confrontare 36 paesi sulla base di 42 indicatori specifici, tutti di dominio pubblico. Puoi guardarli in assoluto, o relativizzarli paese per paese. E tutto è supportato da visualizzazioni interattive che rendono i dati leggibili anche a chi non ha una laurea in statistica.

Otto Pilastri per Capire Chi Sta Davvero Correndo

La bellezza di questo tool è che non semplifica. Non dice: “Chi ha i modelli più belli vince.” Dice qualcosa di molto più vero: l’IA vive o muore in base a come un intero ecosistema la respira.

Misura otto pilastri fondamentali:

  • Ricerca e Sviluppo – Non solo quanti articoli pubblichi, ma su quali riviste, con quale impatto. È la misura di chi sta pensando davvero.
  • IA Responsabile – Governance, etica, sicurezza. Chi sta costruendo infrastrutture che durino, non castelli di sabbia.
  • Economia – Il denaro privato che fluisce verso l’IA. Dove i venture capitalist e i grandi investitori mettono i soldi, lì sta accadendo qualcosa di reale.
  • Istruzione – Talent pipeline. Stai formando i prossimi innovatori, o li stai lasciando andare altrove?
  • Diversità – Chi partecipa alla rivoluzione dell’IA? Solo gli uomini bianchi di Silicon Valley, o è una conversazione globale?
  • Norme e Governance Societaria – Quante leggi sull’IA ha promulgato il tuo Paese? Come sta regolando questa forza?
  • Opinione Pubblica – Cosa pensano i cittadini dell’IA? La vedono come opportunità o minaccia? Questo influisce su tutto il resto.
  • Infrastruttura – Data center, GPU disponibili, capacità computazionale. Il muscolo fisico della rivoluzione.

Gli Indicatori che Contano Davvero

Alcuni dei metriche più interessanti? Pubblicazioni su riviste dedicate all’IA (ricerca pura), totale degli investimenti privati (denaro vero), leggi sull’IA effettivamente promulgate (non annunci vuoti), dataset e modelli base disponibili (la materia prima dell’ecosistema).

È come misurare la salute di una nazione: non guardi solo il PIL, guardi ospedali, scuole, infrastrutture, la fiducia della gente, il numero di brevetti. L’IA è lo stesso. Non è un singolo numero bensì è la vitalità complessiva di un sistema che respira.

Ecco perché questo tool è pericoloso (nel senso migliore). Perché rende visibile quello che molti governi preferirebbero nascondere: quanto velocemente stanno muovendosi davvero, non quanto

La Lezione del Global AI Vibrancy Tool di Stanford

E i risultati?

L’Italia è ventitreesima al mondo.

Dietro Portogallo, Arabia Saudita e Malesia.

Accedi qui al Report: The Global AI Vibrancy Tool 2025 | Stanford HAI

Il Dolore del Crollo Relativo

Conosco il sentimento di chi legge questa classifica. È visceralmente sgradevole. Ma c’è un dato ancora più inquietante: l’anno prima, eravamo ventiquattresimi. Abbiamo “salito” di una posizione. Sembra progresso, vero? Non lo è. Mentre noi avanziamo di una tacca, gli altri Paesi si stanno muovendo molto più velocemente di noi.

Questo significa una cosa semplice e terrificante: altri stanno innovando, implementando, sperimentando. Noi stiamo leggendo articoli su quello che fanno loro.

Non è retorica. È geometria della competitività. Se la velocità relativa si inverte, anche stare fermi significa arretrare.

Lo Spettro del Divario Tecnologico

Vorrei rassicurarti e dirti che i divari tecnologici sono permanenti, che questo ordine mondiale rimarrà così. Sarebbe comodo. Ma chiunque abbia studiato la storia della tecnologia sa che questa è una menzogna.

Guarda gli Stati Uniti: 78,6 punti. Dominanza quasi assoluta.

Guarda la Cina: 36,95 punti. Meno della metà degli USA.

Ora, qui c’è tanta retorica sulla Cina che “ha già chiuso il gap” sui modelli linguistici o che sta superando gli americani. Forse nei LLM ci sta arrivando vicino. Probabilmente nell’efficienza energetica è avanti. Ma se consideri l’intero ecosistema, infrastrutture, policy, talenti distribuiti, capacità industriale, opinione pubblica, il dragone sviluppa a macchia di leopardo. E questo lo penalizza.

Però aspetta. Guarda il vero terremoto.

Siamo ventitreesimi al mondo, e non ce ne accorgiamo. Anzi, peggio: stiamo rallentando
Siamo ventitreesimi al mondo, e non ce ne accorgiamo. Anzi, peggio: stiamo rallentando

L’India e la Disruption che Non Vedi Arrivare

L’India è terza.

L’India, il Paese a reddito medio-basso secondo la World Bank, è terza al mondo.

L’anno scorso era settima. Ha guadagnato quattro posizioni. Non in un decennio. In un anno.

Lasciami spiegare cosa sta succedendo, perché è la vera storia che dovresti temere (non per nazionalismo, ma per realismo). L’India ha:

  • Un miliardo di persone.
  • Costi del lavoro bassissimi.
  • Un’adozione massiccia dell’intelligenza artificiale in corso.
  • Una narrazione culturale che abbraccia il cambiamento tecnologico senza i freni culturali che caratterizzano l’Europa.
  • Governi che investono miliardi direttamente in infrastrutture AI e literacy.

Quando un Paese povero diventa sofisticato dal punto di vista tecnologico, non si limita a competere nelle vecchie categorie. Punta a sovvertire lo status quo. Crea nuovi mercati. Ridefinisce cosa significa essere “competitivo” in un settore.

Pensa alla disruption del cloud computing: non è arrivata dai Paesi che avevano già i server. È arrivata da chi ha avuto il coraggio di ripensare completamente l’infrastruttura.

L’India sta facendo lo stesso con l’IA. Non sta costruendo il modello linguistico più bello. Sta riconfigurando un intero Paese attorno all’IA: dalla sanità pubblica all’agricoltura, dalle amministrazioni locali ai servizi finanziari.

Cosa Significa Essere Ventitreesimi

Mi piacerebbe dartela a pezzi, la cattiva notizia. Ma non posso, perché non è una singola cattiva notizia. È una composizione di problemi.

Guardando i 42 indicatori che Stanford misura, l’Italia ha:

R&D: Stiamo bene, relativamente. Abbiamo buone università e centri di ricerca. Ma qui il problema è che la ricerca non si traduce in applicazione industriale come succede negli Stati Uniti o in Cina.

Talenti: Questo è uno dei nostri problemi più acuti. Brain drain. I nostri migliori ricercatori in AI finiscono a Silicon Valley, a Londra, in Svizzera. Non per malvagità, ma perché trovano ecosistemi che pagano meglio, che offrono più opportunità, che si muovono più velocemente.

Infrastrutture: Abbiamo pezzi di eccellenza, ma non un sistema integrato. Non abbiamo un ecosistema di data center, di servizi cloud, di piattaforme aperte come ha la Cina o gli USA.

Governance e Policy: Qui siamo lenti. La regolamentazione europea sull’IA (AI Act) è virtuosa in teoria, ma ritarda l’innovazione in pratica. E l’Italia, nel mezzo, rimane indietro rispetto ai Paesi che hanno già deciso come muoversi.

Capitale di rischio: Gli investimenti in startup AI italiane sono una frazione di quelli che ricevono startup olandesi, svizzere, persino portoghesi.

Opinione pubblica: Sorpresa: l’Italia non è così contraria all’IA come si potrebbe pensare. Ma il dibattito pubblico rimane confuso, dominato da paure più che da visioni costruttive.

Il Punto di Non Ritorno (Che Probabilmente Abbiamo Già Oltrepassato)

La cosa che mi spaventa davvero non è il ventitreesimo posto. È la traiettoria.

Possiamo recuperare dal ventiquattresimo al ventitreesimo? Certo. Ma mentre noi saliamo di uno, la Corea del Sud scende di due (era ventiduesima l’anno scorso, ora è diciannovesima). Gli Emirati Arabi Uniti salgono di tre posizioni. La Spagna di quattro.

Non stiamo perdendo perché stiamo fermi. Stiamo perdendo perché gli altri corrono e ricordiamoci che : la vera gara non è chi costruisce il modello migliore. È chi riconfigura il proprio Paese attorno all’IA.

Gli Stati Uniti lo stanno facendo. La Cina lo sta facendo, a modo suo (e in modo meno democratico, ma comunque con sistematicità). L’India lo sta facendo con velocità sorprendente. Anche Paesi piccoli come Singapore e gli Emirati stanno riorganizzando le loro economie da cima a fondo.

E l’Italia? L’Italia sta leggendo articoli su come gli altri lo stanno facendo.

Cosa Significa per Te (e Per Tutti Noi)

Se sei uno studente di ingegneria, spero che tu stia considerando seriamente di giocare in un ecosistema che si muove. Non per tradimento patriottico. Per realismo.

Se sei un imprenditore in Italia, il messaggio è: il capitale di rischio sarà sempre meno disponibile qui, perché gli investitori sanno che le probabilità di exit globale sono inferiori. I talenti che assumi probabilmente non staranno a lungo.

Se sei un policymaker, dovresti dormire male la notte, perché sai che i tempi per cambiare direzione diminuiscono.

Se sei un semplice cittadino, il messaggio è: il lavoro che facevi cinque anni fa non sarà quello che farai tra tre anni. E non per colpa tua, ma perché l’IA sta riconfigurando i mercati globali molto più velocemente di quanto il nostro Paese riesca ad adattarsi.

C’è Ancora Tempo (Ma Non Molto)

Ecco la parte in cui potrei darti un discorso sulla ripresa, sulla riscossa italiana, sui nostri talenti nascosti. E ci sono, davvero. Abbiamo ricercatori straordinari, abbiamo cultura, abbiamo tradizione di manifattura che potrebbe essere trasformata da AI e robotica.

Ma la finestra temporale per fare la differenza si sta chiudendo. Non è una metafora. È una realtà di mercato.

Paesi che decidono oggi come orientarsi sull’IA, che investono oggi in infrastrutture e talenti, che creano oggi ecosistemi di startup e venture capital, avranno competenze e asset nel 2030 che l’Italia non potrà più recuperare.

I divari tecnologici non sono permanenti. Ma diventano permanenti quando sono accompagnati da divari di velocità. E qui siamo.

1. Se siamo ventitreesimi, come mai vediamo articoli di IA ovunque in Italia? Il “rumore” non è correlato al “segnale”. In Italia consumiamo molto contenuto globale di IA, ne parliamo molto, ma non lo produciamo e implementiamo velocemente. È come avere una palestra piena di riviste su come allenarsi, ma pochi che effettivamente corrono. Il rumore è democratico; l’innovazione no.
2. Che cosa intende esattamente “Global AI Vibrancy” di Stanford? Stanford misura 42 indicatori: R&D pubblici e privati, investimenti, talenti attratti/persi, infrastrutture disponibili, governance e policy, opinione pubblica, sicurezza e responsabilità. Non è solo chi fa i modelli migliori. È chi costruisce un intero ecosistema. Per questo un Paese può avere buona ricerca ma scarsa vibranza: perché non riesce a trasformare quella ricerca in innovazione pratica e scalabile.
3. L’Italia sta davvero rallentando o è illusione ottica? Non è illusione. Eravamo ventiquattresimi l’anno scorso, siamo ventitreesimi ora. Sembra progresso (+1 posizione). Ma mentre noi guadagniamo 1, molti altri Paesi guadagnano 2, 3, 4. Significa che la nostra velocità di miglioramento è inferiore alla media globale. Quindi sì, in termini relativi, stiamo arretrando.
4. La Cina non ha già superato gli USA? È una domanda sfumata. Nei modelli linguistici, la Cina ci sta arrivando vicino. Nell’efficienza energetica dell’IA, è probabilmente avanti. Ma come sistema-paese integrato—infrastrutture, policy coerente, attrazione di talenti globali, capacità industriale diffusa—gli USA rimangono avanti (78,6 contro 36,95). La Cina sviluppa a macchia di leopardo. Questo limita la sua vibranza complessiva.
5. Come può l’India essere terza se è molto meno ricca degli USA? Perché “vibranza” non è sinonimo di “ricchezza del Paese”. È dinamismo dell’ecosistema. L’India ha un miliardo di persone, costi del lavoro bassissimi, una massiccia adozione dell’IA in corso (nei servizi finanziari, nella sanità, nell’agricoltura), e governi che investono direttamente. Quando una popolazione immensa abbraccia una tecnologia, il valore che ne estrae può superare quello di Paesi ricchi ma meno agili.
6. Non è un problema che solo i ricchi Paesi investano in IA? Questo non aumenta le disuguaglianze globali? Esattamente il tuo punto da umanista digitale. Sì, crea disuguaglianze. Ma il problema per l’Italia specificamente è diverso: non siamo poveri, né siamo agili come l’India. Siamo bloccati nel mezzo. Una ricchezza relativa (che diminuisce) senza la dinamica innovativa dei Paesi che salgono. È il peggio dei due mondi.
7. Quanto tempo abbiamo per invertire la rotta? Onestamente? Meno di quanto crediamo. Le competenze in IA si accumulano velocemente. Un Paese che decide oggi come orientarsi ha vantaggio composto fino al 2030. Nel 2035, quei vantaggi saranno embedded nei sistemi, nella forza lavoro, nel capitale. A quel punto, recuperare diventa esponenzialmente più costoso. La finestra è aperta, ma si sta chiudendo.
8. Cosa dovrebbe fare concretamente l’Italia? Tre cose urgenti: (1) Attirare e trattenere talenti—salari competitivi, ambienti di ricerca di classe mondiale. (2) Creare ecosistemi di venture capital e startup seri—il nostro rapporto investimenti IA / PIL è ridicolo. (3) Ripensare la governance: l’AI Act europeo è virtuoso in teoria, ma rallenta chi voglia innovare velocemente. Serve una finestra europea di deroga per i Paesi che vogliono correre.
9. Se siamo ventitreesimi, che senso ha continuare a cercare di recuperare? Senso immenso, ma richiede cambiare prospettiva. Non si tratta di tornare primi. Si tratta di creare nicchie dove possiamo essere davvero competitivi. Manifattura + AI? Potremmo essere leader europeo. Sanità digitale? Potremmo innovare. Design e tech? È il nostro dna. Ma richiede focus, non dispersione.
10. Questo articolo è fatalistico? Credi davvero che non ce la faremo? No, al contrario. È un risveglio. Il fatalismo è credere che vada tutto bene così com’è. Il realismo è dire: stiamo arretrando relativamente, e questo richiede azione strutturale, non retorica. Se leggiamo questo messaggio e agiamo, cambiamenti significativi sono ancora possibili nei prossimi 3-5 anni.

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