Mi ricordo ancora distintamente il momento esatto in cui, giovane studente di informatica con la testa piena di sogni e le dita pronte a digitare il futuro, mi scontrai per la prima volta con la verbosità solenne di Java. Non era amore a prima vista, ve lo confesso candidamente, perché in un’epoca in cui cercavamo la velocità e l’immediatezza quel public static void main(String[] args) mi appariva come una liturgia antica e un po’ polverosa, un rito di passaggio necessario ma dolorosamente burocratico.
Perché è Fondamentale nell’Era AI
Eppure oggi, mentre mi trovo qui a riflettere su come l’Intelligenza Artificiale stia riscrivendo le regole del nostro esistere digitale, sento l’urgenza di spezzare una lancia in favore di quel vecchio gigante, di quel linguaggio che molti definiscono obsoleto ma che, proprio come il latino per le lingue romanze, costituisce l’ossatura invisibile e potente su cui si regge gran parte della nostra modernità tecnologica.
Come informatico che ha abbracciato la missione dell’umanesimo digitale, osservo con un misto di affascinazione e preoccupazione la frenesia che circonda i nuovi linguaggi di scripting, spesso osannati per la loro sinteticità quasi magica. Tuttavia credo fermamente che ci sia una bellezza intrinseca, quasi architettonica, nel modo in cui Java ci costringe a pensare. Non si tratta semplicemente di scrivere istruzioni per una macchina, ma di modellare la realtà.
Quando parliamo di Programmazione Orientata agli Oggetti, non stiamo forse facendo un esercizio filosofico che ha radici platoniche? Definiamo classi, ovvero le idee perfette e immutabili, e poi istanziamo oggetti, le loro manifestazioni concrete nel mondo caotico della memoria RAM.
Questa struttura, questa rigidità che talvolta frustra i neofiti, è in realtà una forma di disciplina mentale che educa al rigore, una competenza che ritengo fondamentale per chiunque voglia non solo usare la tecnologia, ma comprenderla nel profondo.

Viviamo in un’era dominata dalla paura e dall’entusiasmo sregolato per l’AI, dove tutto sembra dover cambiare da un giorno all’altro, eppure Java rimane lì, imperturbabile, a gestire le transazioni bancarie che proteggono i nostri risparmi, a far girare i sistemi operativi dei nostri smartphone Android e a sostenere le infrastrutture cloud più complesse.
È il “genitore responsabile” nella stanza dei giochi dell’informatica. Mentre Python si diverte a fare esperimenti rapidi di Machine Learning, Java si assicura che il sistema non crolli sotto il peso dei dati. Secondo l’indice TIOBE e i report di GitHub, nonostante decenni di servizio, Java resta saldamente nella top 3 dei linguaggi più utilizzati al mondo: questo non è un caso, è la dimostrazione che la robustezza, la tipizzazione forte e la portabilità della Java Virtual Machine (il famoso “Write Once, Run Anywhere”) sono valori che trascendono le mode del momento.
Voglio essere chiaro con voi, perché la mia missione è quella di moderare l’entusiasmo cieco con una dose di sana realtà: imparare Java oggi non serve per essere “alla moda”, ma serve per capire come funzionano le cose “sotto il cofano”.
Per un umanista che si avvicina al digitale, Java offre una lezione di sintassi e semantica rigorosa che è par paragonabile allo studio della grammatica di una lingua complessa. Ci insegna che le parole hanno un peso, che l’ordine conta e che le eccezioni vanno gestite, non ignorate.
In un mondo che tende alla semplificazione eccessiva, dove l’AI generativa ci fornisce risposte pronte senza chiederci lo sforzo di ragionare, tornare a scrivere codice strutturato è un atto di resistenza intellettuale, un modo per riaffermare che il controllo è ancora nelle mani dell’uomo che sa progettare, e non solo dell’algoritmo che sa eseguire.
Concludo con una riflessione che spero possa risuonare in voi: non abbiate paura della complessità. La tecnologia, se guidata da principi umanistici, non deve essere una scatola nera magica, ma una cattedrale di vetro dove possiamo vedere ogni singolo ingranaggio muoversi in armonia.
Java è uno di questi ingranaggi fondamentali. Impararlo, o almeno comprenderne la logica, è un passo essenziale per trasformarci da passivi consumatori di tecnologia a consapevoli cittadini digitali, capaci di guardare al futuro dell’AI non con terrore, ma con la serenità di chi conosce le fondamenta su cui stiamo costruendo il nostro domani.
Domande Frequenti: Java e Consapevolezza
Perché definisci Java il “Latino” del codice?
Ha senso studiare Java nel 2025 con l’esplosione dell’AI?
Sono un umanista, la programmazione a oggetti non è troppo matematica?
Come si lega questo linguaggio alla lotta contro la paura dell’AI?
Da informatico a cercatore di senso






