L’intelligenza artificiale, strumento di progresso e innovazione, si trasforma in un’arma di disinformazione. Un deepfake crea un’illusione così perfetta da ingannare l’occhio e confondere la mente. La conduttrice fasulla del TG1 snocciola una narrativa inventata, un complotto ordito nell’ombra, dove Bassetti, prima di essere “ucciso”, avrebbe rivelato segreti “scioccanti” sul sistema sanitario. Un pretesto vile per screditare, diffamare e alimentare la macchina dell’odio.
Il caso Bassetti
E poi, la beffa suprema: il Bassetti fake, una marionetta digitale che pronuncia parole mai dette, rivelazioni infondate che avvelenano il pozzo dell’informazione. Un’eco distorta della sua voce, trasformata in un megafono di menzogne.
La reazione di Bassetti è un grido di frustrazione e rabbia. “Non so più cosa dire”, tuona sui suoi canali social. La sua voce, quella vera, si leva contro l’ondata di falsità. Minacce, falsificazioni, annunci di morte: un assedio digitale che lo tormenta senza tregua. E l’amara constatazione dell’impotenza: “È incredibile che la polizia postale e la magistratura non riescano a fermare tutto questo”.
Il caso Bassetti è un campanello d’allarme, un monito sulla fragilità della verità nell’era dei deepfake. Un’era in cui la realtà può essere manipolata, distorta e sostituita con un’immagine artefatta. Un’era in cui dobbiamo affinare il nostro spirito critico, imparare a distinguere il vero dal falso, e proteggere la verità dalle insidie dell’inganno digitale. Come ci ricorda il World Economic Forum, “Deepfakes didn’t disrupt the 2024 elections as forecast, but organizations must remain vigilant and maintain awareness to protect their people and systems.”(The World Economic Forum)
Questa vicenda ci ricorda che la lotta contro la disinformazione è una battaglia costante, una guerra combattuta su un campo di battaglia digitale dove le armi sono algoritmi e le munizioni sono menzogne. Dobbiamo armarci di conoscenza, consapevolezza e vigilanza, per difendere la verità e proteggere la nostra società dall’assalto dei deepfake.

Da informatico a cercatore di senso