Siamo Annegando nei Dati: Ogni 48 ore Creiamo uno Tsunami Digitale

Infosfera


Benvenuti nell’Infosfera: Guida di Sopravvivenza
all’Era dello Zettabyte

Sapete, stamattina ho guardato due video di gattini su TikTok, ho risposto a tre email di lavoro e ho chiesto all’assistente vocale che tempo facesse. Un’inezia, vero? Sbagliato. In quei pochi minuti, ho contribuito a creare un pezzettino di quella montagna di dati che, ogni 48 ore, raggiunge la dimensione di 1 Zettabyte.


1 Zettabyte.

Cos’è uno Zettabyte? È un numero così ridicolmente grande che il mio computer si è quasi rifiutato di scriverlo. Pensate che il vostro cervello, in tutta la sua magnificenza, ha una capacità stimata di circa 1 Petabyte. E uno Zettabyte sono un milione di Petabyte. O è una magia… o stiamo producendo un sacco di spazzatura digitale. Probabilmente entrambe le cose. 😜

“Ah, ecco!”, direte voi. “Con tutti questi dati, il Grande Fratello ci controlla!”. La risposta è sì. Ovviamente. Ma non come pensate voi. Non c’è un genio del male in una stanza buia che vi spia mentre scegliete la pizza. C’è piuttosto un’intelligenza artificiale terribilmente confusa che cerca di capire perché ieri avete comprato un tostapane a forma di unicorno e oggi guardate documentari sulla pesca nel Mar Baltico. L’AI non vuole dominarvi, vuole solo vendervi un’esca da pesca a forma di unicorno. E per questo, più che paura, mi fa una certa tenerezza.

L’ingegnere che è in me vi direbbe che uno Zettabyte è 1021 byte. Un 1 con 21 zeri. Tutto chiaro, no? Perfetto. L’umanista digitale in me, invece, preferisce un’altra immagine. Prendete un normalissimo DVD. Ora, per raggiungere UN SOLO Zettabyte, vi servirebbe una pila di

250 miliardi di DVD. E noi, come pianeta, ne produciamo l’equivalente ogni due giorni, soprattutto guardando video (che da soli valgono circa il 63% del totale). Praticamente stiamo costruendo una torre di DVD che arriva sulla Luna. Ogni settimana. Complimenti a noi.

Ed ecco l’Infosfera

Questo diluvio di dati, però, non è solo rumore. È il nuovo ambiente in cui viviamo. Il grande filosofo italiano Luciano Floridi ha coniato un termine perfetto: “Infosfera”. Non siamo più solo online o offline; viviamo in un ibrido costante di reale e digitale. In questo nuovo mondo, l’AI non è il carceriere, ma può essere l’archeologo, il bibliotecario. Può setacciare milioni di ricerche mediche per trovare una cura, analizzare testi antichi per svelare nuovi significati, o aiutarci a comporre musica che non avremmo mai immaginato. L’AI può essere il nostro strumento per dare un senso a questo meraviglioso e terrificante caos digitale che abbiamo creato.

Certo, ogni tanto l’AI inciampa. E le cadute possono fare male. Se addestriamo un’intelligenza artificiale con dati che riflettono i nostri peggiori pregiudizi (razziali, di genere, sociali), lei non diventerà “cattiva”: diventerà semplicemente uno specchio dei nostri difetti, ma con la capacità di prendere decisioni su scala globale. Non è un mostro, è un amplificatore. E poi c’è il costo fisico di questo mondo digitale: i data center che custodiscono i nostri Zettabyte consumano quantità enormi di energia e acqua. L’Infosfera ha un’impronta ecologica molto reale. Serve la nostra attenzione.

Quindi che fare ?

Quindi, che fare? Dobbiamo temere l’AI e i dati? No. Dobbiamo educarla. E per farlo, dobbiamo prima capire come funziona. Tranquilli, non vi chiederò di diventare tutti ingegneri. Mi basta che smettiate di pensare che sia un mostro sotto il letto e iniziamo a vederla per quello che è: un compagno di viaggio incredibilmente potente, a volte un po’ strano, ma che siamo noi a dover guidare. Iniziamo a pretendere trasparenza e a usarla con coscienza. E magari, ogni tanto, creiamo un dato puramente analogico: una chiacchierata senza telefoni. Anche quello, a suo modo, è un dato preziosissimo. 😉

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