Cari esploratori digitali, menti curiose e spiriti critici,

La Tirannia dell'Ignoranza


ADDIO ALLA TIRANNIA DELL’IGNORANZA:
La Proposta Scomoda che Può Salvare la Democrazia.

Da tempo navigo le correnti impetuose della conoscenza in rete, un umanista digitale convinto che il vero progresso nasca dall’incessante esercizio della mente e da un apprendimento che non conosce tramonto. Oggi, però, voglio porvi una domanda che potrebbe far tremare le fondamenta delle vostre certezze, una riflessione scomoda quanto necessaria: la nostra sacra, intoccabile democrazia è davvero all’altezza delle sfide che il nostro tempo ci pone? O forse, in un mondo dove l’asticella della conoscenza e delle competenze si è alzata a dismisura, è giunto il momento di dare spazio a un’idea tanto antica quanto rivoluzionaria: l’epistocrazia?


Immaginate un sistema in cui sei “imbecilli” contano più di quattro “intelligenti”. Vi sembra un’iperbole? Eppure, questa è la cruda realtà della democrazia così come la viviamo. Ho meditato a lungo su questo paradosso, e no, non sto qui a invocare dittature o monarchie, ma a esplorare sentieri meno battuti, con la serenità e l’apertura mentale di chi osa ragionare fuori dagli schemi.

La Tirannia dell’Ignoranza: Un Male Silenzioso

Ogni giorno, per guidare un’auto, per curare una persona, per gestire una macchina aziendale, ci viene chiesto di studiare, di superare esami, di dimostrare competenze. E poi? Poi arriva il momento più cruciale di tutti: scegliere chi governa il nostro Paese, e persino governarlo in prima persona, e lì, incredibilmente, non è richiesta alcuna preparazione. Vi sembra logico? A me, da umanista votato alla diffusione della conoscenza, pare un’anomalia stridente.

Il filosofo politico Jason Brennan ha un nome preciso per questo fenomeno: la “tirannia dell’ignoranza”. Quanti dei nostri elettori, purtroppo, non solo non possiedono le minime conoscenze per valutare proposte politiche complesse, ma spesso si lasciano trascinare da un vortice di emozioni, slogan vuoti, paure ancestrali e le onnipresenti fake news? Basti pensare a chi vota per un bonus sul monopattino, o per il leader più simpatico in televisione, o si affida ciecamente all’influencer del momento. Il dramma è che ogni voto conta allo stesso modo: l’opinione di un luminare di geopolitica pesa quanto l’istinto di chi si informa leggendo pettegolezzi da rotocalco.

Certo, è giusto ascoltare tutti, ma è altrettanto giusto che tutti decidano allo stesso modo su questioni di vitale importanza come la sanità, l’economia, la scuola, l’energia o la sicurezza, quando non possiedono le stesse competenze? Affidereste mai un’operazione a cuore aperto a un gruppo di sconosciuti, per giunta incompetenti? I disastri prodotti da governi guidati da ciarlatani allo sbaraglio sono sotto i nostri occhi ogni singolo giorno.

La Tirannia dell'Ignoranza
La Tirannia dell’Ignoranza

Epistocrazia: Conoscenza al Servizio del Potere

Ed è qui che entra in gioco l’epistocrazia, un termine che affonda le radici nel greco episteme (conoscenza) e kratos (potere). L’idea è al tempo stesso semplice e profondamente provocatoria: non tutti dovrebbero avere lo stesso peso decisionale in fatto di scelte politiche, economiche o sociali. In un’epistocrazia, l’influenza politica, o il diritto di voto stesso, sarebbe proporzionato al livello di conoscenza, competenza o consapevolezza dell’individuo.

Ora, mettete da parte etichette come “discriminazione” o “nuova aristocrazia”. Non si tratta di creare un club esclusivo di intellettuali o di consegnare il potere a una casta privilegiata. L’obiettivo è ripensare la responsabilità con cui oggi, in massa, decidiamo il futuro collettivo. Vi ricordate l’antica Atene? Anche lì, la democrazia era il “governo del popolo”, ma quel popolo non era la totalità della popolazione: votavano solo gli uomini liberi, alfabetizzati, cittadini attivi. Niente schiavi, niente “ignoranti”, niente donne (un’esclusione deprecabile, certo, ma che per loro aveva un senso in quel contesto). Già 2500 anni fa, insomma, era chiaro che il potere decisionale non dovesse essere nelle mani di chiunque.

Oggi, invece, siamo giunti all’estremo opposto, al culto del suffragio universale dove l’atto del votare è sacro a prescindere dalla preparazione dell’elettore. Metterlo in discussione è quasi un anatema. Ma non è proprio questo il momento di porci domande scomode? Abbiamo milioni di cittadini che votano mossi da rabbia, paura, propaganda, spesso incapaci di formulare una frase corretta in italiano, figuriamoci di comprendere concetti complessi. E non dimentichiamo il 35% degli adulti italiani analfabeti funzionali, né le nuove generazioni cresciute a pane e TikTok.

La teoria sulla Stupidità di Cipolla

“Le leggi fondamentali della stupidità umana” è un breve saggio scritto dall’economista italiano Carlo Cipolla, e la sua lucidissima analisi offre una lente inquietante attraverso cui osservare la “tirannia dell’ignoranza” che oggi minaccia la nostra democrazia. Se, come sottolineato, la cruda realtà è che “sei imbecilli contano più di quattro intelligenti” e che il voto di un luminare vale quanto l’istinto di chi si informa con pettegolezzi, allora la teoria di Cipolla sulla pericolosità della stupidità si manifesta in tutta la sua drammatica attualità.

Quella stessa stupidità che spinge milioni di cittadini a votare “mossi da rabbia, paura, propaganda” o “incapaci di formulare una frase corretta in italiano”, genera i “disastri prodotti da governi guidati da ciarlatani allo sbaraglio” e rende l’elettore disinformato “pericoloso, irresponsabile, folle”, rivelando una democrazia senza anticorpi, in cui “il consenso si confonde con la competenza” e l’ignoranza regna sovrana con conseguenze deleterie per l’intera collettività.

Una Patente per il Voto?

In un mondo ideale, il diritto al voto dovrebbe essere inseparabile dal dovere di informarsi, di comprendere, di approfondire. L’epistocrazia non propone di far votare solo chi ha un dottorato, ma di creare meccanismi che garantiscano almeno un’infarinatura di base sui temi in questione. Pensate a un semplice “quiz civico”, a un test sulle politiche pubbliche, a una prova di comprensione costituzionale, una sorta di “patente di voto”.

Non sarebbe un’esclusione crudele, ma una profonda forma di rispetto verso le istituzioni democratiche stesse. Perché se la democrazia è decidere insieme, allora è fondamentale che tutti sappiano almeno cosa stanno decidendo. Un cittadino che non sa nulla di economia e vota per un programma fallimentare, mette a rischio l’intera collettività. Un elettore disinformato è come un passeggero che vota per mettere al comando dell’aereo un perfetto incompetente: pericoloso, irresponsabile, folle.

Certo, nessun sistema è perfetto. I criteri di valutazione delle competenze dovrebbero essere oggettivi, trasparenti, accessibili. Bisognerebbe evitare derive tecnocratiche e garantire il pluralismo. Ma l’alternativa quale sarebbe? Continuare a eleggere clown televisivi, populisti da social network, burattini pronti a cavalcare l’onda del malcontento o a intascare mazzette?

Jean-Jacques Rousseau, genio del ‘700, diceva: “La democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi”. Oggi, il vero rischio non è l’epistocrazia, ma una democrazia in mano all’ignoranza di massa, quella a cui stiamo assistendo in tutto l’Occidente. Una democrazia senza anticorpi, dove chi urla più forte prende tutto, dove il consenso si confonde con la competenza, l’apparenza con la sostanza, la maggioranza con la verità.

Di fatto ritengo………

Non sto suggerendo di cancellare la democrazia, ma di evolverla, raffinarla, rafforzarla. L’epistocrazia può essere la scintilla per un nuovo senso di responsabilità civica, un monito che la libertà ha un prezzo: lo sforzo di pensare, di studiare, di capire. Invece, tutto viene semplificato, ridotto, banalizzato tra tweet, meme, slogan e video di 15 secondi. La politica è diventata show business, il dibattito pubblico tifo da stadio.

Ma io, da umile ma tenace umanista digitale, lo dico senza paura: la conoscenza conta, la competenza conta, e conta anche il coraggio di mettere in discussione dogmi considerati intoccabili. Se davvero vogliamo una società più giusta, più equa, più libera, dobbiamo iniziare a porci domande scomode. E forse la più scomoda è questa: perché continuiamo a difendere a spada tratta un sistema che produce risultati sempre più scadenti?

L’epistocrazia non è la bacchetta magica, ma una provocazione preziosa, un invito a ripensare il concetto stesso di partecipazione: non tutti allo stesso modo, ma tutti con lo stesso impegno. Non un voto uguale per tutti, ma una responsabilità condivisa da chi è disposto a capire, a studiare, a mettersi in gioco davvero. Forse è arrivato il momento di costruire una democrazia adulta, consapevole e informata. Una democrazia, oserei dire, epistocratica.

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