I dati raccolti da Eurostat nel gennaio 2025 offrono uno spaccato prezioso dello stato dell’arte nell’adozione dell’intelligenza artificiale nelle imprese del continente. Non si tratta di numeri astratti, ma di fotografie di aziende reali, di persone che ogni giorno si confrontano con la sfida di innovare mantenendo la competitività. E proprio questa concretezza mi spinge a condividere con voi un’analisi che va oltre le celebrazioni acritiche o i catastrofismi paralizzanti.
Il grande divario dimensionale: quando la taglia fa la differenza
Ciò che emerge con prepotenza dai dati è un divario dimensionale che definire significativo sarebbe riduttivo. Guardiamo i numeri: l’11,21% delle piccole imprese (10-49 dipendenti) utilizza l’IA, percentuale che sale al 20,97% per le medie imprese (50-249 dipendenti) e balza al 41,17% per le grandi aziende (oltre 250 dipendenti).
Sono convinto che questa forbice non sia solo una questione di risorse economiche, come suggeriscono superficialmente molti commentatori. Certo, investire nell’intelligenza artificiale richiede capitali – secondo ricerche recenti, il ROI medio è di 1,7 volte l’investimento iniziale, ma richiede tempo per materializzarsi. Il vero ostacolo, a mio avviso, risiede nella complessità sistemica dell’implementazione.
Una piccola impresa manifatturiera italiana, ad esempio, non può semplicemente “comprare l’IA” come si acquista un macchinario. Deve ripensare i processi, formare il personale, integrare sistemi legacy, garantire la qualità dei dati. Secondo uno studio condotto per Irion dal Politecnico di Milano, circa il 74% delle aziende non è pronto per implementare tecnologie AI a causa della mancanza di programmi avanzati di gestione dei dati. Solo il 15% delle medie imprese può considerarsi preparato, percentuale che sale al 32% per le grandi imprese.
La mia esperienza di divulgatore tecnologico mi ha insegnato che le PMI italiane – che rappresentano la spina dorsale della nostra economia – si trovano in una posizione particolarmente delicata. Da un lato, percepiscono l’urgenza dell’innovazione; dall’altro, mancano di quella massa critica di competenze e infrastrutture che rende l’adozione dell’IA sostenibile e redditizia.
La geografia dell’innovazione: i campioni e i ritardatari
La mappa europea dell’intelligenza artificiale rivela un paesaggio frammentato che rispecchia le storiche divisioni economiche del continente. La Danimarca guida con il 27,58% di imprese che utilizzano l’IA, seguita da Svezia (25,09%) e Belgio (24,71%). All’estremo opposto troviamo Romania (3,07%), Polonia (5,9%) e Bulgaria (6,47%).
Non posso fare a meno di notare come questi dati riflettano non solo il livello di sviluppo tecnologico, ma anche differenze culturali profonde nell’approccio all’innovazione. I paesi nordici hanno storicamente investito in educazione digitale, infrastrutture di rete e politiche di sostegno all’innovazione. Non a caso, la Svezia ha registrato l’incremento più significativo tra 2023 e 2024, con un balzo di 14,72 punti percentuali.
Secondo uno studio Accenture del 2025 che ha coinvolto 800 grandi aziende europee, oltre la metà (56%) non ha ancora scalato investimenti rilevanti in IA. Se tutte le grandi imprese europee con ricavi superiori a 1 miliardo di euro migliorassero le proprie capacità in ambito IA fino a eguagliare quelle dei settori più avanzati, si potrebbero generare fino a 200 miliardi di euro in più di ricavi annuali.
L’Italia si colloca in una posizione intermedia, con l’8,2% delle imprese che utilizza tecnologie AI nel 2024, in crescita dal 5,0% del 2023. Un dato che personalmente trovo incoraggiante per il trend, ma preoccupante per il valore assoluto, considerando che la media UE si attesta al 13,48%.
I settori trainanti: dove l’IA fa davvero la differenza
L’analisi settoriale offre spunti illuminanti su dove e perché l’intelligenza artificiale viene adottata. Il comparto informazione e comunicazione domina con il 48,72% di imprese utilizzatrici, seguito dalle attività professionali, scientifiche e tecniche (30,53%). All’estremo opposto, il settore delle costruzioni e degli alloggi si ferma al 6,09%.
Questa distribuzione non è casuale. I settori knowledge-intensive, dove il valore aggiunto deriva dall’elaborazione di informazioni piuttosto che dalla trasformazione fisica di materie prime, trovano nell’IA un alleato naturale. Un’azienda di sviluppo software può implementare sistemi di analisi del codice, chatbot per il supporto clienti, strumenti di generazione automatica di documentazione. Un’impresa edile, invece, fatica a trovare casi d’uso altrettanto immediati e scalabili.
Eppure, ritengo che proprio nei settori “tradizionali” risieda il potenziale inespresso più significativo. L’Osservatorio 4.Manager italiano (aprile 2025) evidenzia come nelle imprese manifatturiere i principali ambiti di applicazione dell’IA siano marketing e vendite (32,1%), processi produttivi (28,0%) e amministrazione (23,1%). Il settore costruzioni potrebbe rivoluzionarsi attraverso la manutenzione predittiva, l’ottimizzazione della logistica di cantiere, la gestione intelligente delle forniture.
Le tecnologie preferite: cosa fanno davvero le imprese con l’IA
Quando parliamo genericamente di “intelligenza artificiale”, rischiamo di alimentare confusione. I dati Eurostat scompongono l’adozione per tipologia tecnologica, offrendo un quadro molto più preciso.
La tecnologia più diffusa è l’analisi del linguaggio scritto (text mining), utilizzata dal 6,88% di tutte le imprese e dal 21,44% delle grandi aziende. Segue la generazione di linguaggio (natural language generation) al 5,41% complessivo e 16,64% per le grandi imprese. Il machine learning per l’analisi dati registra il 4,24% totale e 20,58% tra i grandi player.
Questi numeri raccontano una storia che mi appassiona: le imprese non stanno inseguendo fantasie futuristiche di robot senzienti o superintelligenze. Stanno cercando soluzioni pragmatiche e misurabili a problemi concreti. Vogliono comprendere meglio i feedback dei clienti, automatizzare la redazione di report, prevedere trend di vendita, ottimizzare campagne marketing.
L’adozione dell’IA generativa è in forte crescita: il 45,3% delle imprese italiane che utilizzano IA ha sperimentato modelli generativi di linguaggio come ChatGPT. Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2024 il mercato italiano è stato dominato da progetti di esplorazione dati e sistemi di previsione (34%), analisi del testo e sistemi conversazionali (32%), e sistemi di raccomandazione (17%).
Le applicazioni pratiche che emergono da diverse ricerche includono:
Nel customer service: chatbot disponibili 24/7 che gestiscono richieste comuni e indirizzano quelle complesse agli operatori umani, riducendo i tempi di attesa e i costi operativi.
Nel marketing: analisi predittiva per identificare i lead più promettenti, personalizzazione automatica dei contenuti, ottimizzazione in tempo reale delle campagne pubblicitarie. Secondo McKinsey, il 72% delle aziende utilizza l’IA per almeno una funzione aziendale nel 2024 (+50% rispetto al 2023), con marketing e vendite come area prioritaria.
Nei processi amministrativi: automazione dell’elaborazione di fatture tramite OCR intelligente, riconciliazione contabile automatizzata, gestione documentale avanzata.
Nella produzione: manutenzione predittiva che anticipa i guasti analizzando i dati dei macchinari, ottimizzazione della pianificazione delle risorse, controllo qualità tramite visione artificiale.
Le finalità d’uso: perché le imprese investono nell’IA
Analizzando le motivazioni d’uso tra le imprese che hanno adottato l’IA, emerge un quadro interessante. Il marketing e le vendite guidano con il 34,08%, seguiti dall’organizzazione dei processi amministrativi (27,51%) e dai processi produttivi (24,76%).
La logistica, sorprendentemente, si ferma a un modesto 6,12%, nonostante il potenziale rivoluzionario dell’IA in questo ambito. Immagino che questa bassa penetrazione dipenda dalla necessità di integrazione con sistemi complessi di supply chain e dalla difficoltà di raccogliere dati di qualità lungo tutta la catena.
Un dato che trovo particolarmente significativo riguarda la sicurezza ICT: il 22,38% delle imprese utilizzatrici di IA la impiega per questo scopo, percentuale che sale al 46,44% tra le grandi aziende. In un’epoca di crescenti minacce cibernetiche, l’intelligenza artificiale diventa uno strumento difensivo indispensabile, capace di individuare pattern anomali, prevenire intrusioni, gestire vulnerabilità in tempo reale.
Le barriere all’adozione: cosa frena la diffusione
Nonostante l’entusiasmo mediatico, l’adozione dell’IA procede più lentamente di quanto molti prevedessero. I motivi sono molteplici e interconnessi.
La sfida delle competenze emerge come ostacolo primario. Uno studio Workday rileva che il 72% dei dirigenti ritiene che la propria organizzazione non sia sufficientemente preparata per implementare AI e machine learning in modo approfondito, mentre il 76% sente di dover migliorare la propria conoscenza personale. La carenza di specialisti AI è particolarmente acuta nelle PMI, dove solo l’11,3% impiega specialisti ICT contro il 74,5% delle grandi imprese.
La qualità e la gestione dei dati rappresentano un secondo ostacolo critico. Il 77% dei manager è preoccupato per la qualità dei dati, la loro tempestività e aggiornamento. Come già menzionato, il 74% delle aziende non dispone di programmi avanzati di gestione dati.
Le preoccupazioni etiche e di sicurezza frenano molte organizzazioni. Il 48% cita problemi di sicurezza e privacy come principali ostacoli all’implementazione, mentre il 39% considera il potenziale bias un rischio elevato. Solo il 29% si dice molto fiducioso che AI e ML vengano applicati nel rispetto dell’etica.
I costi e la complessità di implementazione scoraggiano soprattutto le PMI. L’investimento non è solo nell’acquisto di tecnologie, ma nella formazione del personale, nella ristrutturazione dei processi, nella manutenzione continua dei sistemi.
La mancanza di casi d’uso chiari emerge come problema sottovalutato ma significativo. Molte aziende percepiscono l’IA come “qualcosa che bisogna fare” senza una visione precisa di quali problemi risolvere e come misurare i risultati.
Il ritorno sull’investimento: l’IA paga davvero?
Una domanda che ogni imprenditore si pone: investire nell’intelligenza artificiale è economicamente sensato? I dati recenti offrono risposte incoraggianti, anche se con importanti caveat.
Secondo Snowflake, il 92% degli early adopter ha già ottenuto un ROI misurabile dagli investimenti in IA. Per ogni milione di dollari investito, si registrano 1,41 milioni di dollari di ritorni in forma di riduzione costi e aumento ricavi. Il 93% definisce i propri progetti AI generativa come un successo importante o notevole.
Capgemini riporta un ROI medio di 1,7 volte l’investimento iniziale, con il 62% delle aziende che prevede di aumentare gli investimenti nel 2025. Le aree con maggiore ritorno includono il servizio clienti (74%), le operazioni IT e infrastruttura (69%), e la pianificazione decisionale (66%).
Tuttavia, sono consapevole che questi dati provengono principalmente da grandi organizzazioni con risorse dedicate e competenze avanzate. Per le PMI, il percorso verso un ROI positivo può essere più lungo e tortuoso. Secondo uno studio MIT-BCG, molte aziende ancora non stanno realizzando un ROI soddisfacente, o non lo stanno realizzando affatto.
Il mio consiglio, maturato attraverso anni di osservazione del settore, è di adottare un approccio incrementale. Meglio iniziare con progetti pilota circoscritti, misurabili, che risolvano problemi specifici e generino risultati visibili nel breve periodo. Il successo di questi primi esperimenti creerà le condizioni – economiche, culturali, organizzative – per espansioni successive.
Lo sguardo da umanista digitale: tecnologia al servizio delle persone
Permettetemi, in chiusura, una riflessione più personale che riflette la mia visione di umanista digitale. I numeri che abbiamo analizzato non sono mere statistiche, ma rappresentano scelte umane, speranze, timori, opportunità.
L’intelligenza artificiale non è né il salvatore miracoloso né il distruttore apocalittico che alcuni dipingono. È uno strumento, potente e versatile, il cui valore dipende interamente da come decidiamo di utilizzarlo. Il fatto che solo il 13,48% delle imprese europee l’abbia adottato non è necessariamente un fallimento, ma forse un segno di prudenza saggia, di attesa strategica, di preparazione metodica.
Sono convinto che la vera sfida non sia tecnologica, ma culturale ed educativa. Dobbiamo democratizzare l’accesso alla conoscenza sull’IA, formare lavoratori capaci di dialogare con questi sistemi, creare ecosistemi dove anche le piccole imprese possano beneficiare di innovazioni oggi appannaggio dei grandi player.
L’Europa, con la sua tradizione di attenzione ai diritti, all’etica, alla sostenibilità, ha l’opportunità di tracciare un terzo percorso tra l’approccio permissivo americano e quello restrittivo di altre regioni. L’AI Act, nonostante le sue imperfezioni, rappresenta un tentativo coraggioso di regolare l’innovazione senza soffocarla.
I dati Eurostat ci dicono che siamo all’inizio di un viaggio, non alla fine. La crescita del 5,45 punti percentuali in un solo anno indica un’accelerazione in corso. Ma questa accelerazione deve essere inclusiva, deve raggiungere le PMI italiane, le startup bulgare, gli artigiani portoghesi. Solo così l’intelligenza artificiale manterrà la promessa di migliorare il lavoro e la vita di tutti, non solo di una élite tecnologica.
In sintesi: i numeri chiave da ricordare
- Solo il 13,48% delle imprese UE utilizza l’IA nel 2024, con crescita di 5,45 punti percentuali rispetto al 2023
- Forte divario dimensionale: 11,21% piccole imprese vs 41,17% grandi imprese
- Leader geografici: Danimarca (27,58%), Svezia (25,09%), Belgio (24,71%)
- Settori trainanti: informazione e comunicazione (48,72%), attività professionali e scientifiche (30,53%)
- Tecnologie più diffuse: text mining (6,88%), generazione linguaggio (5,41%), machine learning (4,24%)
- Applicazioni prioritarie: marketing e vendite (34,08%), processi amministrativi (27,51%), produzione (24,76%)
- ROI medio: 1,7 volte l’investimento iniziale
- Principale barriera: mancanza di gestione dati avanzata (74% non è pronta)
❓ FAQ – Intelligenza Artificiale nelle Imprese
Domande e risposte sull’adozione dell’IA in Europa
Nel 2024, solo il 13,48% delle imprese europee con almeno 10 dipendenti utilizza tecnologie di intelligenza artificiale, secondo i dati Eurostat. Questo dato è in crescita rispetto al 2023, con un incremento di 5,45 punti percentuali, segnalando un’accelerazione nell’adozione, anche se i numeri assoluti rimangono relativamente contenuti.
La percentuale varia significativamente in base alla dimensione aziendale: solo l’11,21% delle piccole imprese usa l’IA, contro il 41,17% delle grandi aziende con oltre 250 dipendenti.
La classifica europea vede al primo posto la Danimarca con il 27,58% delle imprese che utilizzano l’IA, seguita da Svezia (25,09%) e Belgio (24,71%). Questi paesi nordici hanno storicamente investito in educazione digitale, infrastrutture tecnologiche e politiche di supporto all’innovazione.
All’estremo opposto troviamo Romania (3,07%), Polonia (5,9%) e Bulgaria (6,47%), evidenziando un significativo divario geografico che riflette le diverse capacità economiche e culturali dei paesi membri.
L’Italia si posiziona nella fascia medio-bassa con l’8,2% di adozione nel 2024, in crescita dal 5,0% del 2023.
Il divario dimensionale è impressionante: il 41,17% delle grandi imprese usa l’IA contro solo l’11,21% delle piccole. Questo gap non dipende solo dalle risorse economiche, ma da una serie di fattori strutturali:
- Competenze specialistiche: Solo l’11,3% delle PMI impiega specialisti ICT contro il 74,5% delle grandi imprese
- Gestione dei dati: Il 74% delle aziende non dispone di programmi avanzati di gestione dati, prerequisito fondamentale per l’IA
- Complessità di implementazione: Le PMI mancano di quella massa critica di infrastrutture e know-how necessarie
- Investimenti iniziali: I costi di formazione, ristrutturazione processi e integrazione sistemi sono proporzionalmente più onerosi per le piccole realtà
L’adozione dell’IA varia drasticamente tra i settori economici:
- Informazione e comunicazione: 48,72% – il settore leader assoluto
- Attività professionali, scientifiche e tecniche: 30,53%
- Attività immobiliari: 15,45%
- Manifatturiero: circa 10-12%
- Commercio all’ingrosso e al dettaglio: circa 8-10%
- Costruzioni e alloggi: 6,09% – il fanalino di coda
I settori knowledge-intensive, dove il valore deriva dall’elaborazione di informazioni, trovano nell’IA applicazioni immediate e scalabili. I settori tradizionali faticano a identificare casi d’uso altrettanto evidenti, pur avendo un enorme potenziale inespresso.
Le tecnologie di intelligenza artificiale più diffuse nelle imprese europee sono:
- Text mining (analisi del linguaggio scritto): 6,88% di tutte le imprese, 21,44% delle grandi aziende
- Natural Language Generation (generazione linguaggio): 5,41% totale, 16,64% grandi imprese
- Speech recognition (riconoscimento vocale): 4,78% totale, 16,70% grandi imprese
- Machine learning per analisi dati: 4,24% totale, 20,58% grandi imprese
- Automazione workflow e decisioni: 4,19% totale, 20,40% grandi imprese
- Computer vision (riconoscimento immagini): 3,23% totale, 13,40% grandi imprese
L’IA generativa è in forte crescita: il 45,3% delle imprese italiane che utilizzano IA ha già sperimentato modelli come ChatGPT.
Tra le imprese che hanno adottato l’IA, le finalità d’uso principali sono:
- Marketing e vendite: 34,08% – l’area prioritaria assoluta
- Organizzazione processi amministrativi: 27,51%
- Processi produttivi: 24,76%
- Contabilità e finanza: 22,65%
- Sicurezza ICT: 22,38% (46,44% tra le grandi aziende)
- Ricerca e sviluppo: 19,34%
- Logistica: 6,12% – sorprendentemente bassa nonostante l’alto potenziale
Le imprese cercano soluzioni pragmatiche: automazione di task ripetitivi, analisi predittiva, personalizzazione customer experience, ottimizzazione decisionale.
Gli ostacoli che frenano la diffusione dell’intelligenza artificiale nelle imprese sono molteplici:
- Carenza di competenze: Il 72% dei dirigenti ritiene che la propria organizzazione non sia sufficientemente preparata; il 76% sente di dover migliorare la propria conoscenza personale
- Qualità e gestione dati: Il 74% delle aziende non dispone di programmi avanzati di gestione dati; il 77% dei manager è preoccupato per qualità, tempestività e aggiornamento dei dati
- Preoccupazioni etiche e di sicurezza: Il 48% cita problemi di sicurezza e privacy; il 39% teme il bias algoritmico
- Costi elevati: Investimenti non solo in tecnologia ma in formazione, ristrutturazione processi, manutenzione continua
- Mancanza di casi d’uso chiari: Molte aziende non hanno una visione precisa di quali problemi risolvere e come misurare i risultati
I dati sul ROI dell’IA sono incoraggianti, anche se con importanti distinzioni tra grandi aziende e PMI:
- ROI medio: 1,7 volte l’investimento iniziale secondo Capgemini
- Successo degli early adopter: Il 92% ha già ottenuto un ROI misurabile; per ogni milione di dollari investito si registrano 1,41 milioni di ritorni
- Percezione di successo: Il 93% definisce i propri progetti di IA generativa come un successo importante o notevole
- Tempistiche: Due aziende su cinque prevedono di ottenere un ritorno entro 3 anni
Tuttavia, questi dati provengono principalmente da grandi organizzazioni. Per le PMI il percorso è più lungo e richiede un approccio incrementale: meglio iniziare con progetti pilota circoscritti che generino risultati visibili nel breve periodo.
Le applicazioni pratiche dell’IA coprono numerose aree aziendali:
- Customer service: Chatbot disponibili 24/7, gestione automatica richieste comuni, riduzione tempi di attesa e costi operativi
- Marketing: Analisi predittiva per identificare lead promettenti, personalizzazione automatica contenuti, ottimizzazione campagne pubblicitarie in tempo reale
- Processi amministrativi: Automazione elaborazione fatture tramite OCR intelligente, riconciliazione contabile automatizzata, gestione documentale avanzata
- Produzione: Manutenzione predittiva che anticipa guasti analizzando dati macchinari, ottimizzazione pianificazione risorse, controllo qualità tramite visione artificiale
- Risorse umane: Screening CV automatizzato, analisi sentiment dei dipendenti, personalizzazione percorsi formativi
- Sicurezza: Individuazione pattern anomali, prevenzione intrusioni, gestione vulnerabilità in tempo reale
Per le piccole e medie imprese, l’approccio consigliato è graduale e strategico:
- Partire da problemi specifici: Identificare un’area circoscritta dove l’IA può generare valore misurabile (es. automatizzare la gestione email clienti)
- Progetti pilota: Iniziare con sperimentazioni a basso rischio che permettano di acquisire competenze e dimostrare risultati
- Formazione del personale: Investire prima nelle persone che nella tecnologia, creando una cultura data-driven
- Qualità dei dati: Assicurarsi di avere dati puliti, organizzati e accessibili prima di implementare soluzioni AI
- Soluzioni SaaS: Utilizzare piattaforme cloud già pronte (ChatGPT, Google AI Studio, strumenti di marketing automation) invece di sviluppare da zero
- Partnership strategiche: Collaborare con università, digital innovation hub, consulenti specializzati per colmare il gap di competenze
Il successo iniziale creerà le condizioni economiche, culturali e organizzative per espansioni successive.
Le prospettive indicano una forte accelerazione nei prossimi anni:
- Crescita degli investimenti: Il 62% delle aziende prevede di aumentare gli investimenti in IA nel 2025
- Potenziale economico: Se tutte le grandi imprese europee migliorassero le capacità IA fino a eguagliare i settori più avanzati, si potrebbero generare 200 miliardi di euro in più di ricavi annuali
- Democratizzazione: L’IA generativa sta abbassando le barriere d’ingresso, permettendo anche a chi non ha competenze tecniche di sfruttare questi strumenti
- Regolamentazione europea: L’AI Act traccia un terzo percorso tra permissivismo e restrizione, puntando su etica, diritti e sostenibilità
- Sfida educativa: Il vero collo di bottiglia sarà la formazione: servono programmi massivi di upskilling e reskilling per preparare la forza lavoro
La vera sfida non è tecnologica ma culturale ed educativa: democratizzare l’accesso alla conoscenza sull’IA per creare un ecosistema inclusivo dove anche le piccole imprese possano beneficiare dell’innovazione.
Da informatico a cercatore di senso






