L’Europa, l’AI e la guerra invisibile

L'Europa, l'AI e la guerra invisibile

Il sonno della ragione genera colonie

Se c’è una cosa che ho imparato in anni di ingegneria informatica e passione per l’umanesimo, è che la tecnologia non è mai neutrale. È politica, è potere, è dominio. Oggi, guardando fuori dalla finestra della nostra vecchia Europa, sento un brivido che non ha nulla a che fare con il clima. È la sensazione di vivere in un continente sonnambulo, che cammina sull’orlo di un abisso storico convinto di fare una passeggiata di salute.


Vedo un’Europa che si strugge nel combattere un conflitto alle sue porte, quello contro la Russia, con un dispendio di energie, retorica e risorse immane. Ma, da osservatore critico, non posso fare a meno di notare che stiamo combattendo – e perdendo rovinosamente – una seconda guerra. Una guerra silenziosa, invisibile, non dichiarata, combattuta non con i carri armati ma con i gasdotti, i tassi di interesse e, soprattutto, con gli algoritmi. È la guerra che il nostro storico alleato d’Oltreoceano, gli Stati Uniti, sta conducendo contro la nostra sovranità economica e tecnologica.

La cannibalizzazione economica

Non serve essere un economista per unire i puntini, basta guardare i fatti con gli occhi disincantati di chi analizza sistemi complessi. Mentre le nostre industrie storiche chiudono o delocalizzano, schiacciate da costi energetici insostenibili dopo il taglio suicida dei ponti con l’Est, l’economia americana fiorisce. Ci vendono il loro gas liquefatto a prezzi triplicati rispetto a quello a cui eravamo abituati, rivitalizzano il loro complesso militare-industriale con le nostre commesse e attraggono i nostri capitali. È un travaso di ricchezza colossale, un’operazione di chirurgia finanziaria che sta svuotando il vecchio continente della sua sostanza vitale, rendendoci un mercato di consumo dipendente e periferico.

L’Intelligenza Artificiale: il nuovo giogo coloniale

Ma c’è un aspetto ancora più insidioso, che da umanista digitale mi preme sottolineare con forza, perché è qui che si gioca il futuro della nostra mente collettiva. Se l’energia è il sangue dell’economia, l’Intelligenza Artificiale ne è il sistema nervoso. E anche qui, siamo diventati una colonia.

Mentre noi europei ci siamo auto-compiaciuti nel ruolo di “arbitri morali” del mondo, scrivendo regolamenti complessi e onnicomprensivi come l’AI Act, gli Stati Uniti correvano. Hanno costruito le infrastrutture, i modelli linguistici, i chip che oggi fanno girare il mondo. Noi usiamo le loro piattaforme, addestriamo i loro algoritmi con i nostri dati, ragioniamo attraverso le loro categorie logiche. L’AI non è solo uno strumento: è un motivo ulteriore e definitivo di dominio. Chi controlla l’intelligenza sintetica controlla la narrazione, l’efficienza produttiva e, in ultima analisi, la cultura.

L’Europa è rimasta tristemente indietro, impantanata in una palude burocratica che ha scambiato la regolamentazione per innovazione. Abbiamo pensato che scrivere le regole del gioco ci desse il controllo del gioco stesso, senza accorgerci che il pallone lo avevano portato via gli altri.

Il paradosso di Draghi e la nostra paralisi

È in questo contesto desolante che risuonano come una sirena d’allarme le parole recenti di Mario Draghi. Quando una figura del suo calibro, certo non un rivoluzionario antisistema, arriva a dire che la rigorosità delle nostre regole deve diminuire, sta ammettendo implicitamente il fallimento della nostra strategia. Il suo è un messaggio chiaro: la nostra ossessione normativa, il nostro voler imbrigliare preventivamente ogni innovazione, ci sta condannando all’irrilevanza.

Draghi ci sta dicendo che se non allentiamo i lacci che ci siamo costruiti da soli, l’Europa continuerà a scivolare indietro, diventando un museo a cielo aperto gestito da software americani (o cinesi). È un’ammissione drammatica: la “protezione” eccessiva ci ha reso sterili. Siamo come quel genitore ansioso che, per proteggere il figlio dai pericoli del mondo, lo chiude in casa, impedendogli di crescere e farsi le ossa. Solo che qui in gioco non c’è l’adolescenza di un ragazzo, ma la sopravvivenza del nostro modello sociale ed economico.

Europa AI e la Guerra Invisibile
Europa AI e la Guerra Invisibile

Oltre l’Hollywoodismo: l’Algoritmocrazia

La nostra sconfitta non è solo economica o tecnologica, è culturale. Abbiamo permesso che la nostra immaginazione venisse colonizzata. Un tempo si parlava di “Hollywoodismo”, la capacità del cinema americano di plasmare i sogni del mondo. Oggi siamo entrati nell’era dell’Algoritmocrazia. I nostri desideri, le nostre paure, le nostre opinioni sono filtrate e modellate da piattaforme che non rispondono alle nostre leggi, né ai nostri valori, ma agli interessi di azionisti nella Silicon Valley.

Come ingegnere, vedo la bellezza del codice; come umanista, vedo il pericolo dell’omologazione. Se non riprendiamo in mano il timone, se non investiamo in una nostra sovranità digitale reale – fatta di hardware, software e pensiero critico, non solo di cavilli legali – finiremo per essere semplici utenti passivi della nostra stessa storia. Serve un risveglio delle coscienze, un ritorno alla realtà che superi la narrazione rassicurante che ci viene propinata. Dobbiamo smettere di essere i consumatori ideali di una guerra che non sappiamo nemmeno di combattere.

Domande Frequenti sul Tema

È la teoria secondo cui l’Europa combatte militarmente/sanzionatoriamente contro la Russia, ma subisce contemporaneamente una guerra economica e strategica da parte degli Stati Uniti, che traggono vantaggio dalla crisi europea.

È un concetto elaborato da Roberto Quaglia che descrive come l’immaginario collettivo e la percezione della realtà siano modellati dalle narrazioni mediatiche e culturali di stampo statunitense, creando una forma di consenso inconscio.

L’ipotesi discussa è che molti leader vengano selezionati o supportati proprio perché possiedono segreti compromettenti (scheletri nell’armadio), rendendoli facilmente manovrabili da poteri esterni o sovranazionali.

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