Atletica sì, ma dove è la tecnica del dribbling mentale?
Nel calcio giovanile italiano la formazione è spesso ridotta a numeri: cronometri, test fisici, tabelle di rendimento. Ma chi insegna ad aggirare gli stereotipi, a sfidare le convenzioni? I veri fuoriclasse, quelli che inventano, creano, trasformano, sono rifiutati perché “troppo leggeri”, “troppo fantasiosi”. Pensate: se Baggio o Totti fossero nati oggi, sarebbero scartati per inadeguatezza fisica. Il paradosso più grande di un Paese che ha fatto dell’inventiva la sua impronta più originale è proprio quello di non riconoscere più il genio quando questo si presenta.
Le under sono un dominio italiano, ma in Serie A dominano gli stranieri mediocri; un Erasmus “al contrario”, che ci fa perdere l’identità perché la sostituisce con una convenienza a basso costo.
La scuola: griglie di valutazione al posto di visioni aperte
La scuola? Non migliore. Il talento è ingabbiato tra report ministeriali, piani formativi, rubriche di valutazione e indicazioni rigide. I ragazzi imparano a rispondere, non a interrogarsi, a eseguire senza domandare il perché. Si dimentica che studiare serve a formare menti critiche, a immaginare futuri possibili.
Nel frattempo, insegnanti sempre più schiacciati tra paura e “passaggi obbligati”, proprio come i nostri calciatori ingessati da schemi troppo rigidi.
Politica e società: selfie e chiacchiere al posto di costruzione reale
E la politica? È più impegnata a farsi selfie che a creare ecosistemi che sostengano il talento e la creatività. Giovani? Una parola pronunciata senza progetto, in assenza di spazi reali di crescita e liberazione delle capacità.
Il sistema importa modelli esteri senza adattarli, perdendo quella scintilla mediterranea che ha reso unica la nostra cultura: la capacità di generare dal caos, di trasformare l’imprevisto in opportunità.
La nostalgia di un’Italia che c’era e che può ancora esserci
Ricordo l’Italia della Prima Repubblica, con tutti i suoi difetti, ma anche con grandi progetti, visioni industriali e proiezione nel futuro. Quella stessa Italia ha costruito ricchezza e sapere, tenendoci a galla fino al 2010. Oggi, siamo in un blocco mentale che è ben peggior del declino economico: siamo tornati a un’Italia inconsapevole e spenta, come ai tempi di Galileo, quando le corti si perdevano in formalismi inutili mentre lui provava a scuotere il mondo.
I leader di oggi: timorosi del talento, custodi della mediocrità
I grandi ruoli sono occupati da persone piatte, senza visione, spesso rancorose e incapaci di osare, di scommettere sulla novità. Temono il talento perché li mette in crisi. Così, il sistema premia la mediocrità: per quieto vivere, per paura di perdere il controllo, per convenienza.
Eppure, non serve un MBA per scalare il mondo: Mattei l’ha dimostrato. Nemmeno una famiglia di tecnici professionisti per vincere il Mondiale: pensate a Bearzot e a quel giovanotto di nome Rossi. Quelle generazioni avevano in comune una cosa fondamentale: osavano. Speravano. Agivano.
Italia, siamo a un bivio: smettiamo di rincorrere modelli esteri e riprendiamo il filo della nostra storia, della nostra inventiva e genialità. Altrimenti il rischio è che la nostra nazione si spenga insieme a quei fuoriclasse che non abbiamo saputo riconoscere e proteggere.
Da informatico a cercatore di senso