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Download Article as PDF (ENG)Oggi, l’eco di un nuovo annuncio risuona nell’aria, un’onda sonora che promette di inghiottire risorse immense: 800 miliardi di euro per un piano di riarmo europeo senza precedenti, proposto da Ursula von der Leyen. Una cifra che fa vacillare la mente, un abisso di denaro che, come ci ricorda una lucida analisi, potrebbe finanziare estese infrastrutture sociali, creando scuole, asili e migliaia di posti di lavoro.

E qui sorge, prepotente, la domanda che mi tormenta, che forse tormenta anche voi, lettori silenti di questa ennesima narrazione imposta: noi italiani, maestri nell’arte di incassare colpi bassi e sorridere amaramente, come possiamo restare ancora una volta passivi di fronte a questo ennesimo “ce lo chiede l’Europa”? Proprio da quella struttura che, fino a ieri, ci serrava la gola con i vincoli di bilancio quando si trattava di welfare, sanità e istruzione. Quegli stessi vincoli che ora appaiono magicamente flessibili quando il vento della guerra soffia più forte.
Con il costo di un singolo caccia F-35, valutato tra gli 80 e i 120 milioni di dollari, ovvero oltre 100 milioni di euro, si potrebbero realizzare 143 asili pubblici. Pensate, 143 luoghi di crescita e di opportunità, capaci di servire migliaia di bambini e di dare un sostegno concreto a quelle madri che troppo spesso devono scegliere tra lavoro e famiglia. Altre stime suggeriscono che la stessa somma potrebbe sostenere 500 asili per un intero anno, servendo circa 35.000 bambini.

L’Italia, da sola, ha impegnato 15 miliardi di euro per l’acquisto degli F-35. Una cifra vertiginosa che, se reindirizzata, potrebbe rendere 14.000 scuole conformi alle normative di sicurezza, sanando carenze infrastrutturali che mettono a rischio i nostri ragazzi. Invece, preferiamo investire in macchine da guerra, sofisticate e costose, mentre le fondamenta del nostro futuro, le scuole, spesso cadono a pezzi.
Ci viene detto che “il percorso verso la pace è la forza. La debolezza genera più guerra”. Ma quale pace stiamo inseguendo? Una pace armata, nervosa, costantemente sul punto di deflagrare? Non è forse questa una società che ha paura della pace, preferendo investire nell’ombra minacciosa delle armi piuttosto che nella luce radiosa dell’educazione e del benessere sociale?
È vero, la tecnologia ha compiuto balzi da gigante, e non è un mistero che questa evoluzione sia stata spesso piegata allo scopo di sfiancare la nostra mente critica e la nostra consapevolezza. Bombardati da informazioni frammentate, intrappolati in algoritmi che nutrono le nostre bolle di pensiero, siamo diventati più reattivi che riflessivi. E quella parola, “resiliente”, coniata per farci accettare l’inaccettabile, è diventata la prigione dorata della nostra rassegnazione.
Come possiamo tacere di fronte a un piano che sembra ignorare le profonde ferite sociali ed economiche del nostro paese? L’industria italiana è in caduta libera da 23 mesi consecutivi, attraversando la crisi più grave dal periodo Covid. La produzione è calata del 3,5% rispetto al 2023, con fabbriche che chiudono e lavoratori in cassa integrazione. Settori un tempo fiore all’occhiello come l’automotive, il tessile e la metallurgia sono in grave difficoltà.

E la risposta a questa crisi è un massiccio investimento in armamenti? Davvero crediamo che la soluzione ai nostri problemi sia diventare parte integrante di una macchina bellica sempre più potente?
Non demonizzo gli investimenti militari, che in alcuni casi sono necessari. Ma la scala di questo riarmo, la facilità con cui si derogano a regole fiscali sacrosante per la difesa, stride violentemente con la rigidità mostrata per gli investimenti sociali.
Forse è il momento di scrollarci di dosso questa passività che ci paralizza. Forse è il momento di ricordare che la vera misura di una società non risiede solo nella sua capacità di difendere i propri confini, ma anche in come nutre i suoi bambini, sostiene le sue famiglie e crea opportunità per tutti i cittadini.
Se i vincoli di bilancio possono essere allentati per l’approvvigionamento della difesa, un simile accomodamento dovrebbe essere possibile per l’istruzione, la sanità e i servizi sociali. La domanda fondamentale non è se l’Europa abbia bisogno di sicurezza, ma che tipo di sicurezza priorizza e come le risorse vengono allocate per raggiungerla.
Rimaniamo inermi, spettatori silenti di questo ennesimo scippo di priorità? Continueremo ad accettare “resilientemente” un futuro in cui la spesa per le armi eclissa gli investimenti nel nostro benessere? O forse, e dico forse con una punta di speranza, è tempo di ritrovare quella scintilla di dissenso, quella sana indignazione che ci ha sempre contraddistinto, per chiedere un’Europa che abbia più paura della disuguaglianza che della pace?
⚔️ Riarmo Europeo vs Investimenti Sociali
- Asili nido: Con il costo di un singolo caccia F-35 (circa 100 milioni di euro) si potrebbero realizzare 143 asili pubblici o mantenere 500 asili per un anno intero, servendo circa 35.000 bambini
- Scuole sicure: I 15 miliardi di euro impegnati dall’Italia per l’acquisto degli F-35 potrebbero rendere 14.000 scuole conformi alle normative di sicurezza
- Sanità: Potenziamento delle strutture ospedaliere, riduzione delle liste d’attesa e miglioramento dei servizi territoriali
- Transizione ecologica: Investimenti in energie rinnovabili e infrastrutture sostenibili
- L’industria è in contrazione da 23 mesi consecutivi, la crisi più grave dal periodo Covid
- La produzione industriale è calata del 3,5% rispetto al 2023
- Settori storicamente forti come l’automotive, il tessile e la metallurgia sono in grave difficoltà
- Numerose fabbriche hanno chiuso o ricorrono alla cassa integrazione
- Diplomazia preventiva: Potenziamento delle istituzioni multilaterali e degli strumenti diplomatici
- Sicurezza umana: Approccio che vede la riduzione delle disuguaglianze e la promozione dei diritti umani come fondamento della stabilità
- Cooperazione e interdipendenza: Rafforzamento delle relazioni economiche e culturali come deterrente ai conflitti
- Sicurezza comune: Approcci collaborativi alla sicurezza che coinvolgono anche potenziali avversari
Da informatico a cercatore di senso