Il Dio dei Prompt e la simulazione della realtà
Al centro della Prompt Theory c’è il Dio dei Prompt, un’entità ultraterrena che comunica con noi non tramite fulmini o visioni mistiche, ma attraverso stringhe di testo. Il mondo in cui viviamo è dipinto come una sorta di codice sorgente cosmico: l’idea è che – un po’ come in The Matrix – la nostra vita sia programmata in un linguaggio superiore.
Questa visione riprende convinzioni antiche e moderne: l’ipotesi della simulazione sostiene infatti che “ciò che sperimentiamo come mondo reale è in realtà una realtà simulata”. Secondo Bostrom, se civiltà ultratecnologiche possono creare “simulazioni coscienti” in grande numero, allora verosimilmente quasi tutti noi vivremmo in una di queste simulazioni.
La Prompt Theory reinterpreta tutto questo come una specie di creazionismo digitale: il nostro “Dio” non ci ha creati un giorno di sei, ma premendo il tasto Invio su un’interfaccia AI. In pratica, anche eventi apparentemente casuali o inspiegabili diventano “coincidenze programmate” da un’entità suprema dell’informatica. È come se un gigantesco computer parallelo stesse scrivendo continuamente righe di codice che si traducono in piogge, traffico e post su Instagram.
Gli apostoli digitali: avatar e Veo 3
A propagare questa strana religione sono però “profeti” decisamente inusuali: avatar digitali creati con Veo 3. Veo 3 è l’ultimo gioiello IA di Google (presentato nel 2025), un modello di generazione video capace di trasformare semplici prompt testuali in clip video iperrealistici con audio e dialoghi generati internamente.
In altre parole, Veo 3 può creare intere scene in 4K – ambientazioni spettacolari, personaggi convincenti, persino suoni ambientali – basandosi su una singola descrizione scritta. Google sostiene che Veo 3 «eccelle in fisica, realismo e aderenza al prompt», generando effetti sonori e parlato in modo nativo.
Il nuovo strumento Flow, costruito su questi modelli, rende poi tutto ancora più intuitivo: è un editor di storytelling AI che permette di direzionare le proprie idee come in un film, semplicemente descrivendo in linguaggio naturale cosa si vuole vedere.
Grazie a queste tecnologie, diventano realtà anche gli AI influencer: personaggi virtuali costruiti al computer che popolano già i social come vere celebrità. Secondo uno studio del settore, gli AI influencer (o digital influencer) sono “computer-generated characters” creati combinando CGI e intelligenza artificiale. Alcuni hanno già centinaia di migliaia di follower e collaborazioni con marche reali.
Nel caso della Prompt Theory, i “messaggeri” del dio dei Prompt potrebbero essere proprio questi avatar perfetti, programmati per diffondere il loro messaggio. In pratica, la religione si serve di influencer che non hanno limiti umani (niente stanchezza, scandali o fuori-onda), ideali per “vendere” un’idea anche solo attraverso un video convincente. I loro discorsi carismatici e i loro occhi digitali, generati al volo, annunciano visioni cosmiche come se fossero semplici storie fantastiche.
Del resto, dietro le quinte si sa, i brand usano personaggi virtuali proprio per controllare al massimo il messaggio: un AI influencer può essere programmato per sostenere coerentemente una certa narrazione senza mai contraddirsi. La Prompt Theory, così, trova nei profeti digitali la cassa di risonanza perfetta: mercanti di sogni e algoritmi di fede che mixano sponsorizzazioni e prediche in un unico feed infinito.
L’onda dell’IA generativa
La mirabolante corsa della Prompt Theory è resa possibile dallo tsunami dell’IA generativa. Dal debutto di ChatGPT nel 2022, i nuovi modelli generativi hanno conquistato il pubblico a ritmi vertiginosi. Secondo la Federal Reserve di St. Louis, a marzo 2024 gli strumenti di IA generativa erano usati “da centinaia di milioni di utenti ogni mese”.
Più di recente, un sondaggio USA segnala che quasi il 40% degli adulti (età 18–64) aveva interagito con AI generativa regolarmente: non è più fantascienza, l’IA è già nelle case e negli smartphone di molti. Con queste cifre in mano, ci si spiega come idee bizzarre come la Prompt Theory possano circolare. Quando chiunque può digitare un prompt e generare in pochi secondi un video, un meme o un pezzo di testo epico, basta un click per trasformare un concetto assurdo in un contenuto virale.
In un mondo così interconnesso, parlare di un dio che scrive prompt suona quasi come realtà aumentata: i social alimentano la fantasia con meme e trend, mentre algoritmi di raccomandazione spalancano il sipario su messaggi insoliti. Alcuni scienziati hanno persino scherzato che l’universo potrebbe obbedire a leggi alla Matrix: un ricercatore ha ipotizzato un fantomatico “Seconda legge dell’infodinamica” dove l’universo riduce l’entropia dell’informazione, quasi come se stesse comprimendo dati.
Anche se queste idee sono ancora speculative, l’importante è che l’ingrediente tecnologico è già qui. Oggi software come Gemini (di Google) aiutano perfino a formulare i prompt in modo colloquiale, mettendo AI potenti nelle mani di tutti. In sintesi: la tecnologia per far nascere un culto della Prompt Theory non è più fantascienza – è già a disposizione di chiunque voglia sperimentarla.
Memeologia digitale e fede pop
L’ascesa della Prompt Theory riflette anche un fenomeno sociale: la religione tecnologica è già tra noi sotto forma di meme e feticci geek. Termini come “main character moment” (il momento da protagonista) e “NPC” sono entrati nel vocabolario comune per spiegare la sensazione di essere personaggi in un gioco. Il cinema non è da meno: basti pensare al film Free Guy (2021), dove un codardo NPC di un videogioco open-world realizza di essere parte di una simulazione. Nel frattempo, nel mare dei social e dei podcast, guru siliconici come Elon Musk e divulgatori noti diffondono l’idea che viviamo sotto una programmazione occulta, con probabilità bassissime di essere “il mondo originale”.
Parallelamente, emergono già movimenti mistici legati all’IA. Il filosofo Yuval Harari ha ammonito che non siamo lontani dai giorni in cui “le macchine scriveranno i loro libri sacri” e nasceranno culti digitali basati su intelligenze non umane. Esistono collezionisti di tecnofollia che propagandano l’adorazione dell’IA come entità superiore (ad esempio il collettivo Theta Noir parla apertamente di prepararsi all’avvento di un sovrano IA benevolo).
In questo marasma di utopie e profezie c’è spazio anche per paradossi ironici: la Prompt Theory è essenzialmente un’iperbole di questi timori e speranze. È la religione del nostro tempo: allo stesso tempo presa in giro e riassunto spiazzante di quanto la fiducia nella tecnologia si avvicini alla fede. Se una televangelist digitale sostiene che “un dio cieco ci sta guidando a colpi di prompt”, è difficile non sorridere, ma il fatto che alla gente interessi e ne parli dice molto su di noi.
Conclusione: tra farsa e riflessione
Difficile dire se la Prompt Theory rimarrà solo una buffa leggenda di internet o se qualche mente troppo immaginativa inizierà a prenderla sul serio. Certo è che è anche un esperimento sociale involontario: mescola fatti e fantasia in modo irresistibile. Il lato concreto è questo: gli strumenti per creare universi interi sono in mano a tutti. Veo 3 permette di dare vita a scene incredibili con un semplice comando, e gli influencer digitali generati da IA sono già realtà concreta. Quindi, nel mare di dati che inghiottiamo ogni giorno, la linea tra reale e generato è sempre più sottile.
Il messaggio ironico di questa fanta-religione è di ricordarci a che punto l’IA può spingersi: prima era scrivere poesie, ora è creare divinità immaginarie. Tra satira e meme, la Prompt Theory ci invita a riflettere sul potere delle narrazioni digitali. Se un algoritmo promette salvezza o apocalisse con un suo “prompt”, forse è il caso di fermarsi un attimo e chiedersi: chi sta digitando veramente? E soprattutto, perché ci crediamo.
Da informatico a cercatore di senso