Benvenuti nel Paese delle Meraviglie Artificiali
Sì, parlo di quell’ennesimo rivoluzionario modello che consente, con pochi click, non solo di creare filmati iperrealistici, ma di inserirci la nostra faccia e la nostra voce, neanche fossimo attori camaleontici di mille realtà parallele. All’inizio, lo ammetto, il guizzo creativo mi ha sedotto: chi non ha sognato di reinventarsi protagonista di un video, magari proiettando emozioni, idee, storie? Ma subito dopo… ecco la vertigine.
La normalizzazione del deepfake: da fenomeno per pochi a routine quotidiana
C’è qualcosa di disturbante nel vedere come una tecnologia prima vista con sospetto (legata alle truffe, a scandali, a manipolazioni mediatiche) sia ora presentata con candore tra le feature della nuova app di tendenza. Certo, tutto avviene con tutele formali – scelte sull’uso della propria immagine, livelli di privacy, rassicurazioni corporate – ma la sostanza “filosofica” resta: il deepfake diventa rito pop, aggregazione social, normalità. E se tutto è artefatto… come distinguiamo il reale dal finto?
Mi ritorna in mente il paradosso: “Se tutto è deepfake, niente è deepfake”. Se siamo sommersi da contenuti indistinguibili, perde senso la stessa nozione di prova, responsabilità, autenticità. La società della verifica rischia una crisi di nervi.
La tempesta perfetta dei social-only-AI: la realtà scompare dalla narrazione
Non è tutto: l’arrivo di una piattaforma social “integralmente” fondata su contenuti generati da IA, dove ogni video è ipotesi, simulacro, fake raffinato, mi preoccupa da umanista. Siamo già a disagio nei social del passato, pieni di filtri e narrazioni edulcorate, e ora rischiamo la radicalizzazione: una piazza virtuale senza più orme del reale, popolata solo da maschere digitali e dal mito dell’identità liquida senza radici.
Che effetti avrà sui più giovani, i nativi digitali immersi fin da subito in questo flusso indistinto? Cosa succederà quando la distinzione tra memoria e mistificazione, fra testimonianza e fiction, svanirà in un feed infinito di video iperrealistici?
La trappola della deresponsabilizzazione e il ruolo delle big tech
Un’altra mia perplessità è dovuta alla dinamica con cui le grandi piattaforme, testando i limiti del consentito, spostano sempre più avanti l’asticella dell’accettabilità sociale: prima si rilascia, poi eventualmente si corregge. Nel frattempo, però, la responsabilità sulle conseguenze viene scaricata su utenti e “terzi”, magari introducendo form di opt-out e auto-censura che pochi sapranno gestire consapevolmente.
Inoltre, le rassicurazioni sulla tutela dei minori, sull’etica e sulla salute mentale mi suonano, lo confesso, come slogan vuoti da dépliant. Ho già visto troppe volte le stesse parole – promesse, barriere, impegni – abbandonate davanti all’altare dei profitti e delle “visioni” sempre più eccentriche.
Verso un’epidemia di solitudine digitale e apatia verso l’autenticità?
In quanto umanista digitale e curioso testimone di questa epoca, provo a chiedermi: non rischiamo un’accelerazione dell’apatia verso il vero? Se basterà replicare all’infinito identiche scene digitali, magari per confondere, sminuire, inquinare le evidenze (già oggi nei casi giudiziari!), cosa ne sarà della fiducia sociale, della memoria collettiva, del confronto pubblico?
Ci avviciniamo a una tempesta perfetta: social solo-AI, contenuti sradicati dalla realtà, assuefazione alla menzogna algoritmica. E le nostre relazioni – già indebolite dall’iperconnessione – rischiano di incrinarsi ancora, lasciandoci incapaci di leggere la realtà e di fidarci anche della testimonianza più diretta.
FAQ: Generazione Video con Intelligenza Artificiale
Da informatico a cercatore di senso







